Il gazebo che crea volumetria non può essere edilizia libera, come ridefinita dal Salva Casa

La questione relativa all’efficacia da attribuirsi alle norme di maggior favore introdotte dal decreto legge Salva Casa, il numero 69/2024, poi convertito con modifiche nella legge numero 105/2024, è stata oggetto di numerosi arresti della giurisprudenza amministrativa, la quale, in diverse occasioni, ha avuto modo di precisare come sia da escludersi ogni ipotesi di retroattività della riforma, rispetto ad abusi già oggetto di formale contestazione da parte della pubblica amministrazione, in epoca antecedente a quella della definitiva conversione in legge, ossia il 28 luglio 2024 (tra tutte, si ricorda: Consiglio di Stato, sentenza numero 2771/2025).
Il Tar Lazio, con la recente sentenza numero 8684 del 5 maggio 2025, è tornato sulla questione e, aderendo all’orientamento appena richiamato che va sempre più consolidandosi, ha ribadito i principi che governano la materia.
Retroattività del Salva Casa: il caso concreto
La vicenda ha tratto origine dal ricorso presentato da un privato che, su un terreno di proprietà condominiale, che deteneva in affitto e che successivamente era stato oggetto di cessione d’azienda a terzi, svolgeva un’attività commerciale consistente in un bar.
Su tale fondo, al fine di garantire una migliore accoglienza ai propri clienti, il ricorrente aveva edificato un dehors/gazebo, identificato dagli agenti della polizia municipale di Roma Capitale – in sede di accertamento ispettivo – come una “struttura di metallo 9,20 x 4 metri, con copertura in vetro plastificato e plexiglass di altezza variabile, da 2,20 e 3,20 m (al colmo), tamponata lateralmente con teli in PVC scorrevoli orizzontalmente, fornita di due porte d’accesso. All’interno della struttura, completamente pavimentata e dotata di impianto elettrico, sono presenti tavoli, sedie e un fungo riscaldante”.
In conseguenza di tale costruzione non validamente assentita, ritenuta invece dal privato ricadente nell’ambito dell’edilizia libera, gli era stata notificata una determinazione dirigenziale che conteneva l’ingiunzione di pagare una sanzione amministrativa di 1.500,00 euro.
Pur adempiendo all’intimazione, al fine di evitare ulteriori azioni repressive da parte del Comune, l’interessato proponeva ricorso al Tar Lazio per l’annullamento della determina, e per ottenere la restituzione della somma pagata.
Salva Casa: retroattività o maggior favore? La difesa del ricorrente
Nel contestare l’iniziativa assunta in suo danno dall’amministrazione procedente, costituitasi in giudizio insistendo per il rigetto integrale della domanda, il ricorrente si era affidato principalmente alla presunta applicabilità, al caso che lo riguardava, della disciplina di maggior favore introdotta dalla legge Salva Casa, che, all’articolo 6, comma 1, b ter) del d.P.R. 380/01, ha inserito nell’ambito dell’edilizia libera “le opere di protezione dal sole e dagli agenti atmosferici la cui struttura principale sia costituita da tende, tende da sole, tende da esterno, tende a pergola, anche bioclimatiche, con telo retrattile, anche impermeabile, ovvero con elementi di protezione solare mobili o regolabili, e che sia addossata o annessa agli immobili o alle unità immobiliari, anche con strutture fisse necessarie al sostegno e all’estensione dell’opera”.
Per effetto di tale modifica, non solo ad avviso del ricorrente sarebbe stata introdotta una legge di maggior favore per l’autore di un eventuale – e, comunque, denegato – abuso, ma soprattutto non avrebbe avuto più senso continuare a sanzionare condotte che, per l’ordinamento giuridico, dopo l’entrata in vigore del Salva Casa non rappresentano più un’attività illecita, con l’ulteriore conseguenza per la quale lo Stato non avrebbe più interesse a perseguirle.
La decisione del Tar Lazio
Il collegio amministrativo laziale, con la sentenza numero 868/2025, ha rigettato integralmente l’esposizione difensiva del ricorrente, respingendo il ricorso e condannandolo alla refusione delle spese di lite in favore della resistente, sulla base dei seguenti principi di diritto.
In primo luogo, il giudicante, richiamando l’orientamento della giurisprudenza amministrativa decisamente prevalente, ha ribadito come la legge numero 105/24, essendo soggetta all’ordinario principio del tempus regit actum, e non avendo assolutamente efficacia di norma di interpretazione autentica, non può che disporre per il futuro, nel senso che non può validamente essere invocata per tutte quelle fattispecie di abusi già oggetto di formale contestazione da parte della pubblica amministrazione, alla data della sua entrata in vigore (il 28 luglio 2024).
Inoltre, aggiunge il Tar Lazio, seppur dovesse riconoscersi l’applicabilità al caso di specie della disciplina di maggior favore contenuta nel Salva Casa (cosa, come si dirà di seguito, impossibile), il richiamo alla legge più favorevole all’autore della condotta illecita perseguita dall’ordinamento sarebbe comunque inconferente, atteso che esso può validamente trovare applicazione solo per le sanzioni, formalmente amministrative, ma sostanzialmente aventi rilevanza penale.
Come se ciò non bastasse a legittimare il provvedimento impugnato, il collegio osserva ulteriormente che, per pacifica e costante giurisprudenza amministrativa, l’opera realizzata dalla parte ricorrente, non poteva in ogni caso essere ricondotta al regime di edilizia libera, in quanto, non solo integralmente pavimentata e stabilmente chiusa, quanto più, per questi motivi dimensionali e strutturali, determinante un incremento volumetrico necessitante, come tale, di apposito titolo abilitativo.
Ricorda in proposito il giudicante che “un gazebo può rientrare tra i manufatti leggeri che beneficiano del regime di edilizia libera solo se non hanno autonomia funzionale e non realizzano uno spazio chiuso stabile” (Consiglio di Stato, sentenze numero 8049/2023, 6263/2023, 3393/2021).
Ricorso respinto, dunque, condanna alle spese ed ordinanza dichiarata immediatamente esecutiva.