Abusi edilizi, della preesistenza dell’immobile va fornita prova oggettiva
Il Tar Campania, nella sentenza n. 6059 del 5 settembre 2025, respinge il ricorso contro l’ordinanza comunale di demolizione di opere abusive consistenti in un’abitazione ultimata ed in uso costituita da un piano fuori terra, un muro di recinzione a chiusura del lotto, un cancello in ferro di accesso e i pozzetti di smaltimento acque reflue. Oltre alla mancanza del titolo abilitativo, le opere ricadono in zona agricola e determinano aumento di carico urbanistico in un Comune con classificazione sismica 2. Cruciale per l’esito del contenzioso è la preesistenza o meno dell’immobile all’abuso in questione, di cui bisogna fornire una prova oggettiva.
Il pregiudizio nasce dalla somma delle opere
La sentenza, respingendo un motivo del ricorso, ribadisce che “per giurisprudenza ormai consolidata la valutazione dell’abuso edilizio presuppone una visione complessiva e non atomistica delle opere realizzate, dovendosi valutare l’insieme delle opere realizzate nel loro contestuale impatto edilizio e non il singolo intervento […] in quanto il pregiudizio arrecato al regolare assetto del territorio deriva non da ciascun intervento a sé stante bensì dall’insieme delle opere nel loro contestuale impatto edilizio e nelle reciproche interazioni”.
Inoltre, per verificare l’unitarietà o la pluralità degli interventi edilizi, “non può tenersi conto del solo profilo strutturale, afferente alle tecniche costruttive del singolo manufatto, ma deve prendersi in esame anche l’elemento funzionale, al fine di verificare se le varie opere, pur strutturalmente separate, siano, tuttavia, strumentali al perseguimento del medesimo scopo pratico”.
Il problema della prova della preesistenza dell’immobile
Un altro motivo del ricorso riguardava la preesistenza dell’immobile, in relazione alla quale, si asseriva che nessun recente intervento avesse aumentato la sua volumetria o la sua superficie, senza tuttavia produrre alcuna prova in ordine all’epoca di realizzazione della costruzione, né titoli edilizi che ne dimostrassero la legittimità.
Sul tema della datazione dell’immobile, il Tar ricorda che, in via generale, “va posto in capo al proprietario (o al responsabile dell’abuso) assoggettato a ingiunzione di demolizione l’onere di provare il carattere risalente del manufatto della cui demolizione si tratta, collocandone la realizzazione in epoca anteriore alla cd. legge “ponte” n. 761 del 1967, che ha esteso l’obbligo di previa licenza edilizia alle costruzioni realizzate al di fuori del perimetro del centro urbano”.
Tale indirizzo giurisprudenziale vale non solo per l’ipotesi in cui si chiede di fruire del beneficio del condono edilizio, ma anche – in generale – per potere escludere la necessità del previo rilascio del titolo abilitativo, ove si affermi, appunto, che l’opera risalga ad epoca anteriore all’introduzione del regime amministrativo autorizzatorio.
Prova della preesistenza dell’immobile: chi può fornirla e come dev’essere
È evidente che solo il privato può fornire (in quanto ordinariamente ne dispone e dunque in applicazione del principio di vicinanza della prova) inconfutabili atti, documenti o altri elementi probatori che siano in grado di radicare la ragionevole certezza dell’epoca di realizzazione del manufatto. Al contrario l’amministrazione non può, di solito, materialmente accertare quale fosse la situazione all’interno dell’intero suo territorio.
A ciò si aggiunga che “la prova deve essere rigorosa e fondarsi su documentazione certa e univoca e comunque su elementi oggettivi, dovendosi, tra l’altro, negare ogni rilevanza a dichiarazioni sostitutive di atto di notorietà o a semplici dichiarazioni rese da terzi, in quanto non suscettibili di essere verificate”.
Essendo l’attività edificatoria suscettibile di puntuale documentazione, “i principi di prova oggettivi concernenti la collocazione dei manufatti tanto nello spazio, quanto nel tempo, si rinvengono nei ruderi, fondamenta, aerofotogrammetrie, mappe catastali, laddove la prova per testimoni è del tutto residuale; data la premessa, da essa discende che la prova dell’epoca di realizzazione si desume da dati oggettivi, che resistono a quelli risultanti dagli estratti catastali ovvero alla prova testimoniale ed è onere del privato, che contesti il dato dell’amministrazione, fornire prova rigorosa della diversa epoca di realizzazione dell’immobile, superando quella fornita dalla parte pubblica. Ne deriva che nelle controversie in materia edilizia la prova testimoniale, soltanto scritta peraltro, è del tutto recessiva a fronte di prove oggettive concernenti la collocazione dei manufatti tanto nello spazio quanto nel tempo”.
Cosa costituisce una “nuova costruzione”
Per quanto riguarda la qualificazione degli interventi in causa complessivamente considerati, Il Tar non ha dubbi nel considerarli “nuova costruzione”, ai sensi dell’articolo 3, comma 1, lettera e.1), del dpr n. 380 del 2001, che contempla “la costruzione di manufatti edilizi fuori terra o interrati, ovvero l’ampliamento di quelli esistenti all’esterno della sagoma esistente”, per cui è richiesto il permesso di costruire. Inoltre, trattandosi di area vincolata, sarebbe stata necessaria anche l’autorizzazione paesaggistica.
La mancanza del titolo abilitativo in zona paesaggisticamente tutelata determina l’adozione del provvedimento di demolizione e ripristino dello stato dei luoghi.

