Per i prefabbricati in muratura e legno in area vincolata occorre il titolo edilizio
L’ancoraggio di abitazioni al suolo, collocate su basamento in cemento armato, non ha natura meramente temporanea e, pertanto, tali manufatti devono qualificarsi quali ‘nuove costruzioni’, per la realizzazione delle quali è necessario munirsi di titolo edilizio, avendo determinato una trasformazione irreversibile del territorio, peraltro soggetto anche a tutela paesaggistica. Questo vale, tra l’altro, per i prefabbricati realizzati in area vincolata.
Così si è espresso il Consiglio di Stato, nella sentenza n. 7144 del 29 agosto 2025, con cui ha respinto il ricorso contro l’ordinanza che imponeva la demolizione di opere abusive e il ripristino dello stato dei luoghi con riferimento a manufatti realizzati in area soggetta a vincolo sismico e paesaggistico.
Prefabbricati in area vincolata: l’intervento abusivo
L’intervento abusivo aveva comportato la realizzazione su fondo agricolo di tre manufatti ad un solo piano, ad uso abitativo, consistenti:
- il primo in una abitazione realizzata in opera muraria e copertura con tetto in legno (a ridosso di un preesistente manufatto ad uso magazzino) della superficie di 110 mq;
- il secondo in una abitazione in legno su una piattaforma in cemento armato di 65 mq;
- il terzo in un’opera muraria con tetto in legno di 81 mq.
Gli immobili usufruivano anche della sistemazione della parte esterna con realizzazione di un marciapiede perimetrale e di un terrazzo. L’area interessata dall’intervento è plurivincolata essendo sottoposta a tutela quale bene di notevole interesse paesaggistico con dm 29 settembre 1959 e, in quanto zona di interesse archeologico, assoggettata al relativo vincolo, oltre ad essere gravata anche da vincolo sismico.
La mancata comunicazione di avvio del procedimento
Il Tribunale amministrativo regionale aveva respinto il ricorso, richiamando il consolidato orientamento giurisprudenziale, secondo cui la mancata comunicazione dell’avvio del procedimento non consente l’annullamento giurisdizionale dell’ordine di demolizione, in quanto costituisce un atto dovuto dal contenuto rigidamente vincolato, che presuppone un mero accertamento tecnico sulla consistenza delle opere realizzate e sul carattere non assentito delle medesime, per cui l’omissione di tale garanzia procedimentale non ha rilievo determinante, specie quando emerga che il contenuto dell’ordinanza conclusiva del procedimento non avrebbe potuto essere diversa dall’atto che è stato in concreto adottato.
Anche per il Consiglio di Stato, l’adozione del contestato provvedimento finale era doverosa sulla base di presupposti fattuali incontestati, trattandosi della realizzazione su un fondo agricolo di tre case prefabbricate in muratura e legno, prive di carattere di amovibilità, che avrebbero necessitato di un idoneo titolo edilizio ai sensi dell’art. 27 del dpr n. 380 del 2001, in area sottoposta a vincoli. Tali opere sono vere e proprie costruzioni che hanno determinato una trasformazione irreversibile del territorio, peraltro soggetto anche a tutela paesaggistica.
Per effetto dell’art. 3 del T.U. dell’Edilizia, l’installazione di manufatti leggeri, anche prefabbricati, può ritenersi consentita senza titolo edilizio solo ove diretta a soddisfare esigenze meramente temporanee, non determinandosi una trasformazione irreversibile o permanente del territorio su cui insistono.
Il carattere precario di un manufatto deve essere valutato non con riferimento al tipo di materiali utilizzati per la sua realizzazione, ma avendo riguardo all’uso cui lo stesso è destinato. Nel caso in esame, le opere realizzate erano dirette al soddisfacimento di esigenze abitative stabili e permanenti, pertanto deve escludersi la natura precaria delle stesse, a prescindere dai materiali utilizzati e dalla tecnica costruttiva applicata.

