Il
nuovo codice dei contratti dal primo luglio 2023
è in vigore. Ma le
stazioni appaltanti qualificate sono ancora troppo poche. Questa combinazione in negativo rischia, secondo il Consiglio Nazionale degli Ingegneri, di bloccare in toto gli appalti pubblici in Italia. Con ripercussioni dirette e pesantissime sui professionisti tecnici, di fatto tagliati fuori dai pubblici affidamenti.
Nuovo Codice dei Contratti: stop all’autonomia delle stazioni appaltanti?
Su circa 26mila stazioni appaltanti, infatti, solo 1.571 hanno avuto il via libera da parte dell’Authority. È da questi numeri che parte l’analisi del presidente del
CNI, Domenico Perrini. Il 95% delle stazioni appaltanti non potrà autonomamente dar corso ad affidamenti superiori ai 500mila euro. L’immediata conseguenza è che le
poche stazioni appaltanti qualificate dovranno farsi carico anche delle procedure altrui, bloccando di fatto l’operatività.
“Altra grande criticità – ricorda Perrini – è quella legata agli appalti con metodologia BIM che richiedono la presenza di un BIM manager ed un ACDat manager, figure non disponibili all’interno degli organici delle PA. Dal primo luglio, inoltre è entrata in vigore la norma che determinerà
l’esclusione dalle procedure di affidamento di buona parte degli operatori economici, professionisti in testa, a causa della riduzione da dieci a soli tre anni dei requisiti professionali qualificanti. Sulla base dei nostri calcoli, con questa nuova regola, i professionisti oggi sarebbero tagliati fuori dal 90% delle procedure alle quali, col vecchio requisito dei 10 anni, hanno partecipato”.
Cosa si può fare? Come si può superare questa doppia empasse? Il Consiglio Nazionale Ingegneri chiede in maniera netta al Governo l’accelerazione nella emanazione di un Correttivo, per la cui definizione assicura piena collaborazione, anche a partire dal contributo già redatto con la Rete Professioni Tecniche. Il nuovo codice dei contratti, appena partito, necessità già di un ritocco sostanziale?