La demolizione di un abuso edilizio in case del centro storico ante ’68
                                Il caso analizzato e deciso da una corposa sentenza della seconda sezione del Consiglio di Stato, la n. 806 del 25 gennaio 2024, offre lo spunto per numerose riflessioni in tema di abuso edilizio e relativa demolizione. Argomenti come “fiscalizzazione”, valutazione dello stato dei luoghi ante ’68 e procedimento per la demolizione dell’opera abusiva sono stati trattati con grande attenzione dai giudizi di Palazzo Spada.
Un caso durato oltre 30 anni
Teatro della vicenda è il centro storico di Modena dove, all’ultimo piano di uno stabile, è stato realizzato un nuovo vano di circa 14 mq, in difformità di una precedente autorizzazione edilizia, rilasciata per la risistemazione dell’immobile. L’interessata, approfittando poi del condono del 1985, chiede al Comune la sanatoria dell’opera. Il Comune non accoglie però la richiesta e pertanto emette un’ordinanza di demolizione del bene.
Con il passare degli anni si sono susseguite vicende giudiziarie (sia civili che amministrative) tutte con finali a sfavore della ricorrente. Tuttavia, nonostante questo, nessun reale provvedimento viene adottato. Né si esegue la demolizione ordinata dal Comune, né il proprietario adempie spontaneamente al ripristino dello stato dei luoghi, né il Comune procede all’acquisizione del bene.
Abuso edilizio: (ben) prima della demolizione, ecco la sanatoria
Lungi dall’essere questo l’epilogo della vicenda, il Comune negli anni a cavallo tra il 2019 ed il 2022, a seguito di formali richieste della proprietaria, si persuade a concederle la sanatoria previo pagamento delle sanzioni e delle altre spese previste.
A questo punto inizia il secondo filone del contenzioso che ha dato poi origine alla sentenza del Consiglio di Stato oggetto del presente commento. Parte attrice stavolta è il condominio il quale, dopo aver visto accolta la richiesta di “fiscalizzazione” dell’abuso, decide di impugnare quel provvedimento. I due successivi gradi di giudizio danno ragione ai ricorrenti annullando il provvedimento comunale.
Stato legittimo dell’opera ante 1968
Un passaggio importante fornito dalla sentenza riguarda il concetto di stato legittimo dell’immobile, il quale va desunto esclusivamente dall’ultimo titolo legittimo rilasciato.
È evidente che l’individuazione di un titolo valido sia un problema che si pone soprattutto per gli immobili realizzati in un’epoca nella quale non era obbligatorio acquisire alcun titolo abilitativo edilizio. Per questo motivo lo stato legittimo è quello desumibile dalle informazioni catastali o da altri documenti probanti, quali le riprese fotografiche o altro atto, pubblico o privato, di cui sia dimostrata la provenienza.
Ciò significa che, qualora un titolo edilizio esista e sia proprio lo “scostamento” dallo stesso oggetto della richiesta di sanatoria, non è certo possibile riferirsi ad una ipotetica situazione preesistente al titolo stesso. Il Comune applica tali considerazioni al caso in esame, e fa quindi leva sulla mancata individuazione di uno stato dei luoghi legittimato a cui ricondurre il ripristino della copertura. Pertanto sostiene che il punto di partenza dal quale partire dovesse necessariamente essere la richiesta di ristrutturazione del 1983.
Per tale motivo si fa per la prima volta riferimento in quella pratica alla copertura dapprima inesistente, subordinandone la realizzazione all’avallo comunale. E per questo l’opera realizzata doveva ritenersi non conforme all’originario stato dei luoghi, bensì ulteriore ad aggiuntiva ad esso. Tant’è che la proprietà aveva informato del relativo progetto l’assemblea condominiale.
Acquisizione del bene al patrimonio del Comune
Altro passaggio chiave della sentenza dei Giudici di Palazzo Spada riguarda il modus operandi del Comune nell’acquisizione di un bene abusivo al patrimonio pubblico. Ebbene: benché la sanzione acquisitiva al patrimonio dell’ente dell’abuso edilizio, in caso di inottemperanza dell’ordine di demolizione, operi «di diritto», non è possibile prescindere dagli adempimenti formali necessari al fine di addivenire al trasferimento di proprietà. Che, infatti, necessita di un titolo.
Nel caso in esame è evidente il mancato accertamento formale dell’inottemperanza all’ordine di demolizione. Questo perché erano trascorsi oltre 30 anni senza avervi dato seguito da parte del Comune. Evidenti anche i comportamenti del Comune incompatibili con tale potestà acquisitiva. Si vedano in tal senso i colloqui con la proprietaria del bene culminati, addirittura, con la concessione della fiscalizzazione del bene.
Demolizione di un abuso edilizio nei centri storici? Chi deve vigilare
Bisogna infatti ricordare che in caso di opere eseguite su immobili vincolati non è ammessa alcuna fiscalizzazione. Spetta infatti all’amministrazione competente a vigilare sull’osservanza del vincolo il compito di ordinare sempre la restituzione in pristino, indicando criteri e modalità per la relativa effettuazione. Nel caso invece di opere eseguite su immobili, ubicati nei centri storici (anche non vincolati), la individuazione della tipologia di sanzione da applicare, reale o pecuniaria, spetta all’amministrazione preposta alla tutela dei beni culturali ed ambientali, che si esprime mediante un parere vincolante.
Tale tipologia di atto, per il suo contenuto, ha valenza sostanzialmente decisoria. Questo implica che il Comune debba attenersi a quanto stabilito dalla suddetta amministrazione. Esclusivamente nel caso in cui non si produca il parere entro il termine previsto, la competenza si trasferisce all’amministrazione comunale. Nel caso in esame è evidente che il parere della soprintendenza non è stato in alcun modo richiesto dal Comune.
                                    
