Edilizia

Dall’equo compenso all’equo ribasso: il correttivo non risolve i contrasti interpretativi

Nonostante l’intervento del correttivo, persistono dubbi interpretativi sull’equo compenso: la nullità delle clausole negoziali può essere fatta valere solo dall’aggiudicatario
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Dall’equo compenso all’equo ribasso: il correttivo non risolve i contrasti interpretativi

Sono divenuti oggetto di impugnazione gli esiti di una procedura di gara volta all’affidamento dell’incarico di progettazione definitiva, con opzione della progettazione esecutiva e del coordinamento della sicurezza in fase progettuale inerente ai lavori di Adeguamento alla normativa di prevenzione incendi e antisismica di due presidi ospedalieri. Tra i motivi di doglianza del ricorrente ve ne era uno relativo alla presunta violazione dei principi in materia di equo compenso, così come stabilito dalla legge n. 49/2023. Tale motivo di ricorso viene accolto in primo grado, accertando così l’illegittimità dell’aggiudicazione e degli atti di gara poiché non era stato escluso il concorrente che ha presentato un’offerta economica in violazione della legge sull’equo compenso.

La sentenza viene, però, ribaltata dal Consiglio di Stato che  dichiara il ricorso di primo grado inammissibile e infondato.

Chi può lamentare la violazione delle clausole sull’equo compenso?

Ci eravamo occupati del recente intervento del correttivo al Codice degli appalti in materia di equo compenso volto a determinare un quadro di certezza normativa, così facendo cessare i vari contrasti tra dottrina e giurisprudenza: la sentenza in commento, però, dimostra che non è così.

In particolare, il Consiglio di Stato rileva un difetto di legittimazione attiva in capo al ricorrente in relazione alla deduzione della nullità delle clausole che prevedono un compenso non equo quale vizio di legittimità degli atti della procedura evidenziale. In altre parole, le questioni sulla nullità delle clausole negoziali sulla violazione dell’equo compenso in una procedura di gara non possono essere fatte valere da soggetti diversi dall’aggiudicatario (che, di fatto, non ne avrebbe neppure interesse, essendosi aggiudicato la procedura di gara in base all’offerta dallo stesso presentata in violazione dei parametri dell’equo compenso).

Equo compenso e contratti pubblici: un binomio possibile?

Nonostante la stretta sulla legittimazione attiva, il Consiglio di Stato riconosce la perfetta compatibilità tra la disciplina dei contratti pubblici e la sopravvenuta disciplina sull’equo compenso, da interpretare e applicare in modo integrato e coordinato valorizzando da una parte, la tensione proconcorrenziale per la disciplina sui contratti pubblici e, dall’altra, il favor del professionista intellettuale, per la disciplina sull’equo compenso.

Base di calcolo è il decreto interministeriale (del Ministro della Giustizia di concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti) per la determinazione dei corrispettivi da porre a base di gara nelle procedure di affidamento di contratti pubblici dei servizi relativi all’architettura e all’ingegneria (nella specie, D.I. 17 giugno 2016).

La nozione di equo ribasso

Le caratteristiche di tale decreto hanno indotto il Consiglio di Stato a rideterminare la nozione di equo compenso applicabile alla contrattualistica pubblica in termini di equo ribasso, nozione frutto dell’esegesi coordinata tra corrispettivo equo e proporzionato posto a base di gara e minimum inderogabile evincibile dal range di flessibilità del compenso liquidabile in ragione della complessità della prestazione dedotta nell’affidamento, come dal D.I. 17 giugno 2016.

Il Consiglio di Stato, dunque, manifesta apertamente l’inapplicabilità della tesi del valore fisso e inderogabile dell’equo compenso per i professionisti negli appalti per i servizi di architettura e ingegneria, anche alla luce del correttivo appalti.

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