Edilizia

Barriere architettoniche, quando l’intervento è in “edilizia libera”?

Due sentenze dei Tribunali amministrativi regionali trattano la conformità degli interventi volti all’eliminazione delle barriere architettoniche
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Barriere architettoniche, quando l’intervento è in “edilizia libera”?

Due sentenze dei Tribunali amministrativi regionali trattano la conformità degli interventi volti all’eliminazione delle barriere architettoniche, sia alle norme del dpr n. 380/2001 che ne consentono la realizzazione in edilizia libera, nel caso di una rampa d’accesso; sia alle prescrizioni del dm 236/1989 relative alle dimensioni delle scale, nel caso dell’installazione di un vano ascensore.

Il Tar Sicilia, nella sentenza n. 1721 del 24 luglio 2025, ha respinto il ricorso per l’annullamento dell’ordinanza con la quale il Comune aveva ingiunto di provvedere alla demolizione di uno scivolo in cemento armato volto alla riduzione di barriere architettoniche e realizzato senza il necessario titolo edilizio.

Eliminazione barriere architettoniche: il caso

L’intervento, consistente in un innalzamento di circa 30 cm della originaria rampa di accesso a un magazzino, si era reso necessario in seguito ad alcuni lavori riguardanti il cambio di destinazione d’uso del magazzino in locale di abitazione, autorizzati con Scia, per rialzare la rampa in modo che raggiungesse il piano di calpestio a quota pavimento del piano terra. In sostanza, il ricorrente aveva prima creato la barriera architettonica, per poi richiederne, tramite Cila, la rimozione tramite un intervento considerato in “edilizia libera”.

L’Amministrazione aveva motivato l’ordine di ripristino perché il manufatto, di forma trapezoidale e di circa 36,50 metri quadrati, insisteva su uno spazio prospiciente il fabbricato, comportando la trasformazione permanente del suolo su area con destinazione a viabilità di pubblica utilità. L’opera non poteva quindi essere annoverata tra quelle finalizzate all’abbattimento delle barriere architettoniche perché aveva comportato l’installazione di un muro sul quale collocare delle ringhiere, che alterava la sagoma dell’edificio e costituiva quindi nuova opera.

La natura delle opere pensate per l’eliminazione delle barriere architettoniche

Il Tar Sicilia ha confermato che “la consistenza e la natura delle opere non ne consentono la riconduzione alle fattispecie di edilizia libera in quanto volti alla eliminazione delle barriere architettoniche, risultando gli interventi realizzati idonei ad alterare la sagoma del fabbricato, oltreché sovrabbondanti rispetto alle affermate necessità di accesso all’abitazione”.

La sentenza ricorda che le opere riconducibili all’edilizia libera (art. 6 comma 1, lett. b), del dpr n. 380/2001), non necessitano di titolo edilizio solo se, in quanto volte all’eliminazione di barriere architettoniche, siano strettamente necessarie per l’utilizzo dell’abitazione e che non rivestano una propria autonomia funzionale, risolvendosi in semplici interventi di trasformazione, senza generare alcun aumento di carico territoriale o di impatto visivo, e senza alterazione della sagoma dell’edificio, come nel caso in esame è avvenuto.

Come affermato dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 282 del 21 dicembre 2016, sono invece da escludere dalla riconduzione ad interventi di rimozione delle barriere architettoniche opere che alterino la sagoma dell’edificio, quali la realizzazione di rampe o ascensori esterni, che sono invece riconducibili alla nozione di ristrutturazione edilizia, di nuova costruzione o, al più, di manutenzione straordinaria.

L’opera deve essere strettamente funzionale all’accessibilità dell’edificio

Rileva inoltre, nella decisione del Tar, la sovrabbondanza rispetto alle affermate necessità di accesso all’abitazione, dei lavori esterni caratterizzati dall’innalzamento e prolungamento verso la via pubblica dello scivolo e dalla realizzazione di un muretto sul quale collocare una ringhiera, volta a recintare parzialmente l’area davanti a detto magazzino.

La speciale disciplina volta a favorire l’eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici esistenti, applicabile non solo a favore di soggetti portatori di disabilità vere e proprie, ma a chiunque soffra di disagi fisici e di difficoltà motorie, è volta a garantire diritti fondamentali della persona e costituisce espressione di un principio di solidarietà sociale, perseguendo finalità di carattere pubblicistico, volte a favorire, nell’interesse generale, l’accessibilità agli edifici.

Le opere volte alla eliminazione delle barriere architettoniche devono perciò essere strettamente funzionali a tale scopo e non esorbitanti lo stesso, dovendo la loro realizzazione risultare misura idonea e necessaria, non essendo consentito l’uso strumentale ed opportunistico della speciale normativa per la creazione di organismi nuovi che non trovano, per la loro tipologia e consistenza, diretta corrispondenza nell’esigenza di abbattimento delle barriere architettoniche. Tanto più che, nel caso in esame, il ricorrente non aveva documentato chi sarebbe il soggetto o i soggetti le cui esigenze di mobilità sarebbero state tutelate con l’intervento contestato.

Il vano ascensore in condominio non deve compromettere la fruibilità delle scale

Il Tar Campania, nella sentenza n. 380 del 14 gennaio 2025, tratta invece il caso di un’istanza di accertamento di conformità presentata per la realizzazione in un condominio di un vano ascensore di dimensioni 0,80 m per 1,50 m, con cabina di 0,72 m per 1,20 m, nel vano scale del palazzo, con eliminazione parziale delle rampe di scala interessata. Per la realizzazione dell’opera era stata invocata la deroga di cui al dpr. 23/2017, trattandosi di opera strettamente necessaria per due persone con disabilità motorie gravi residenti nel fabbricato, in assenza di altre soluzioni praticabili. Ma il Comune aveva rigettato l’istanza, giudicando l’intervento non assentibile con le seguenti motivazioni:

  1. la riduzione della larghezza delle rampe pari a mt 1,20 come prescritto dal dm 236/1989 a mt 0,85 limitava di fatto l’uso della scala in sicurezza, da parte degli altri condomini;
  2. ai sensi dell’art. 1120, comma 4 del c.c. il verbale di assemblea, approvato a maggioranza dei partecipanti non costituisce titolo idoneo ad assentire l’intervento richiesto di modifica delle parti condominiali;
  3. non risultava adeguatamente documentata e motivata l’impossibilità dell’installazione dell’ascensore all’esterno del fabbricato, realizzabile con il semplice ridisegno delle aiuole, di proprietà condominiale.

L’esigenza di adeguate vie di fuga

L’amministratore di condominio impugnava il provvedimento, ma il Tar Campania ne ha confermato la legittimità nella parte in cui valuta l’intervento non conforme alle prescrizioni del d.m. 236/1989.

Nello specifico, il dm 236/1989, all’art. 6, dispone che “Le rampe di scale che costituiscono parte comune o siano di uso pubblico devono avere una larghezza minima di 1,20 m”. La norma, in caso di nuova installazione di un ascensore nel vano scala, può, in effetti, essere derogata, ma senza compromissione della “fruibilità delle rampe e dei ripiani orizzontali, soprattutto in relazione alla necessità di garantire un adeguato deflusso in caso di evacuazione in situazione di emergenza”.

Il vano scala risultante dall’intervento oggetto della causa avrebbe avuto, dopo l’installazione dell’elevatore, una larghezza residua di mt 0,85, quindi non conforme alla prescrizione citata. È perciò legittimo il rilievo dell’Amministrazione comunale sulla limitazione “di fatto” dell’uso della scala in sicurezza, da parte degli altri condomini, a prescindere dall’esigenza, pure da considerare, di un’eventuale emergenza e della necessità di consentire adeguate vie di fuga. Peraltro, considerato l’intervento nel suo insieme, il Tar Campania rileva come anche il vano ascensore risultante fosse di dimensioni assai modeste, con una cabina larga appena 0,72 m per 1,20 m.

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