Quali sono le 
norme che regolano le distanze tra edifici? Il 
regolamento edilizio può stabilire 
distanze inferiori rispetto a quelle previste dalle regole nazionali? Che succede se il Comune rilascia comunque un permesso a costruire sulla base del proprio regolamento e in violazione delle distanze previste dalle norme generali? A queste domande risponde la sentenza del 
Consiglio di Stato n. 7016/2021.
Distanze tra edifici: il caso
Il 
Comune aveva annullato in autotutela il 
permesso rilasciato alla proprietaria di un fabbricato per l’ampliamento del proprio immobile ai sensi del Piano Casa (art. 4 L.r. Campania n. 19/2009). L’annullamento era dovuto al fatto che il regolamento edilizio prevedeva la necessità dell’atto di assenso dei confinanti per derogare alle distanze minime stabilite in cinque metri dal confine. Seguiva l’ordinanza di demolizione dell’ampliamento già eseguito. Successivamente 
il Comune modificava il regolamento edilizio, ed ammetteva deroghe alle distanze minime tra costruzioni, senza più richiedere l’assenso dei confinanti, permettendo addirittura “l’edificazione in aderenza e/o sul confine”.
Su richiesta della proprietaria, il Comune revocava quindi l’ordinanza di demolizione a suo tempo emessa, e senza chiedere più l’atto di assenso dei vicini, rilasciava un 
nuovo permesso per ampliare il fabbricato. I proprietari confinanti insorgevano contro la decisione del Comune e contro la nuova previsione del regolamento comunale in tema di distanze tra costruzioni.
Secondo i ricorrenti la disposizione regolamentare modificata era illegittima perché in contrasto con l’art. 873 del codice civile che regola la distanza minima tra gli edifici.
Regole nazionali sulle distanze tra gli edifici
La normativa nazionale che si occupa di regolare le distanze tra gli edifici, è contenuta all’
art. 873 del codice civile e all’art. 9 del Decreto ministeriale n. 1444/68.
La previsione codicistica stabilisce che “le costruzioni su fondi finiti, se non sono unite o aderenti, devono essere tenute a distanza non minore di tre metri” ; la regola ammette deroghe da parte dei regolamenti locali, ma solo per distanze maggiori, e mai minori di tre metri.
L’art. 9 del D.M. 1444/68 individua le distanze minime tra fabbricati distinguendo tra le 
diverse zone territoriali omogenee (
centro storico– zona A, nuove costruzioni in altre zone, zona c). Le norme del decreto ministeriale dettano i limiti inderogabili cui devono attenersi tutti i regolamenti edilizi e i piani particolareggiati.
La modifica del regolamento edilizio oggetto del caso in esame, aveva invece 
derogato alla normativa nazionale, consentendo l’edificazione “sul confine”, senza alcun riguardo alla distanza minima prevista dall’art. 873 del codice civile.
    
Il regolamento edilizio non può derogare alla normativa nazionale
I Giudici di Palazzo Spada hanno ribadito il consolidato principio di diritto per cui “la disciplina delle distanze attiene anche alla materia dell’ordinamento civile, ossia dei rapporti giuridici interprivati, riservata allo Stato, sicché la competenza legislativa regionale concorrente afferente al governo del territorio è legittima soltanto se e in quanto la 
deroga alle distanze sia riferita ai medesimi presupposti previsti dalla normativa statale […]”.
Nel caso in esame dunque, il Supremo Collegio ha censurato il procedimento seguito dal Comune, che ha rilasciato un nuovo permesso a costruire sulla base della intervenuta modifica al regolamento edilizio.
Il 
corretto procedimento da seguire avrebbe invece 
richiesto all’ente di valutare se all’esito dell’ampliamento realizzato la nuova situazione di fatto era o non era rispettosa della distanza minima di tre metri prevista dal codice civile. In caso di risposta positiva, il Comune avrebbe dovuto poi valutare se nel caso concreto potesse o meno prescindersi dall’atto di assenso dei confinanti, che era richiesto nella precedente formulazione del regolamento edilizio. In caso contrario, il Comune avrebbe dovuto infine valutare se era applicabile la riduzione in pristino o non dovesse invece procedersi con la fiscalizzazione dell’abuso ai sensi dell’art. 38 TUE.
Consiglio di Stato, sentenza n. 7016/2021.