Distanze tra fabbricati, i balconi vanno computati: è costruzione unitaria con l’edificio
La Corte di Cassazione Civile, nell’Ordinanza n. 239 del 4 gennaio 2024, si pronuncia su un ricorso contro la sentenza del giudice di merito che ordinava l’arretramento fino al rispetto della distanza legale di 10 metri tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti (art. 9 dm n. 1444 del 1968) di un balcone di dimensioni 1,82 m 4,41. Le distanze tra balconi, infatti, sono da calcolare nel computo di quelle legali tra fabbricati. Questo perché rappresentano una costruzione unitaria con l’edificio.
La relazione di Ctu attestava che “… la riduzione in pristino corrisponderebbe con la demolizione di tale balcone … nel caso di rinterro del piano attualmente seminterrato, si configurerebbe invece quale camminamento perimetrale alla stregua di un marciapiede ed in continuità con il relativo giardino di pertinenza e quindi senza costituire distacco”. Per i ricorrenti, invece, tale struttura “altro non rappresenta se non un viale, un camminamento destinato ad aderire al piano di campagna”.
Distanze tra balconi: i richiami della Cassazione
L’Ordinanza della Cassazione richiama, in tema di distanze legali, l’art. 873 c.c., che fornisce una nozione unica di costruzione, consistente in qualsiasi opera non completamente interrata avente i caratteri della solidità e della immobilizzazione rispetto al suolo, indipendentemente dalla tecnica costruttiva adoperata. I regolamenti comunali, pertanto, essendo norme secondarie, non possono modificare tale nozione codicistica, sia pure al limitato fine del computo delle distanze legali, poiché il rinvio contenuto nella seconda parte dell’art. 873 c.c. ai regolamenti locali è circoscritto alla sola facoltà di stabilire una distanza maggiore.
Vale, quindi, il principio, consolidato nella giurisprudenza della Corte, secondo cui le strutture accessorie di un fabbricato, non meramente decorative ma dotate di dimensioni consistenti e stabilmente incorporate al resto dell’immobile (da accertare in fatto in base ad apprezzamento dei giudici del merito, non sindacabile in sede di legittimità per violazione di norme di diritto), costituiscono con questo una costruzione unitaria, ampliandone la superficie o la funzionalità e sono da computare ai fini delle distanze fissate dall’art. 873 c.c. o dalle norme regolamentari integrative.
Quando gli elementi della costruzione non sono computabili
La eccezionale non computabilità, ai fini delle distanze, di elementi della costruzione può quindi riguardare solo quegli sporti o aggetti che non siano idonei a determinare intercapedini dannose o pericolose, consistendo in sporgenze di limitata entità, con funzione complementare di decoro o di rifinitura, mentre vengono in considerazione le sporgenze, implicanti, perciò, un ampliamento dell’edificio in superficie e volume, come, appunto, i balconi formati da solette aggettanti (anche se scoperti), o i pianerottoli di prolungamento dei setti in cemento armato, di apprezzabile profondità, ampiezza e consistenza, stabilmente incorporati nell’immobile, e ciò a maggior ragione qualora le distanze tra costruzioni siano stabilite in un regolamento edilizio comunale che non preveda espressamente un diverso regime giuridico per le costruzioni accessorie.
La Corte non accoglie nemmeno le considerazioni dei ricorrenti sulla diversa consistenza che il manufatto avrebbe rivelato in base al titolo abilitativo edilizio ed alla proroga dell’originario permesso di costruire, per gli sviluppi che l’opera potrebbe assumere una volta ultimata l’attività costruttiva. “Il conflitto tra proprietari interessati in senso opposto alla costruzione deve essere risolto in base al diretto raffronto tra le caratteristiche oggettive dell’opera e le norme edilizie che disciplinano le distanze legali, tra le quali non possono comprendersi anche quelle concernenti la licenza e la concessione edilizia, perché queste riguardano solo l’aspetto formale dell’attività edificatoria. Di conseguenza, l’avere eseguito la costruzione in conformità dell’ottenuta licenza o concessione, non esclude, di per sé, la violazione di dette prescrizioni e, quindi, il diritto del vicino, a seconda dei casi, alla riduzione in pristino o al risarcimento dei danni“.
Distanze tra balconi: la decisione finale
Né rileva che l’attività edificatoria denunziata con la domanda originaria, rivelatasi lesiva dei diritti del vicino nella sua consistenza attuale al momento della decisione, non sia stata ancora ultimata, sicché la violazione delle distanze potrebbe essere nel prosieguo delle opere regolarizzata o soppressa dal costruttore.
Soltanto qualora il proprietario convenuto per aver costruito a distanza illegale faccia venir meno l’illegalità e riconosca in modo espresso o implicito la integrale fondatezza della domanda avversa, si determina una cessazione della materia del contendere, che rende inutile la pronuncia giurisdizionale di riduzione in pristino. Il ricorso, pertanto, è stato rigettato.

