Edilizia

Il diniego dell’autorizzazione paesaggistica va motivato adeguatamente

Consiglio di Stato: la motivazione di diniego non può tramutarsi in una forma sincopata ed apodittica di clausola negatoria della compatibilità paesaggistica di un’opera
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Il diniego dell’autorizzazione paesaggistica va motivato adeguatamente
Il Consiglio di Stato, nella sentenza n. 1626 del 25 febbraio 2021, interviene sulla motivazione al diniego di autorizzazione paesaggistica per la sanatoria edilizia. Annullando una sentenza con la quale il Tar Toscana aveva respinto il ricorso avverso il provvedimento di diniego di condono edilizio di un annesso agricolo, manufatto di circa 30 mq, destinato a ricovero di attrezzi per la coltivazione di un fondo sito in un’area sottoposta a vincolo paesaggistico, nonostante la presenza di un grande albergo, di fabbriche, dell’autostrada e relativo svincolo a circa 150 m. di distanza. Il diniego dell’autorizzazione paesaggistica era stato adottato dal Comune, a seguito del parere contrario della Commissione Edilizia Integrata (Cei). In cui si evidenziava che: “i materiali e le caratteristiche costruttive, aventi natura di temporaneità e prive di ogni intento di decoro sono incompatibili con la tutela dei valori estetici e tradizionali del luogo”.
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Il ricorso: nessun pregiudizio al paesaggio

Il proprietario del fondo era ricorso in appello, sostenendo che, se l’Amministrazione avesse svolto un’istruttoria completa, avrebbe rilevato che il piccolo manufatto in questione, posto a pochi metri da un casello autostradale, non avrebbe recato alcun pregiudizio al paesaggio, caratterizzato dalla presenza di numerose fabbriche e di un grande albergo; tale area sarebbe talmente mutata rispetto alla data di imposizione del vincolo paesaggistico che l’oggetto che esso intendeva preservare era ormai inesistente. Il Tar – secondo l’appellante – avrebbe omesso di pronunciarsi sulla circostanza che il manufatto fosse “meritevole di sanatoria essendo asservito al miglior utilizzo del terreno utilizzato a fini agricoli, rappresentando una semplice pertinenza del suddetto bene immobile come tale non bisognosa di concessione edilizia”.

La motivazione al diniego è adeguata se descrive l’edificio e il suo rapporto con il contesto

Il Consiglio di Stato ritiene, sulla base della propria giurisprudenza, che “anche una scarna motivazione del parere contrario sulla compatibilità paesaggistica può essere generalmente ritenuta sufficiente a dare conto del disvalore paesaggistico di un’opera e il giudizio dell’organo preposto alla tutela del vincolo paesaggistico costituisce espressione di discrezionalità squisitamente tecnica, sindacabile in sede giurisdizionale soltanto per difetto di motivazione, illogicità manifesta ovvero per errore di fatto conclamato. Tuttavia, la motivazione che esprime tale giudizio non può “tramutarsi in una forma sincopata ed apodittica di clausola negatoria della compatibilità paesaggistica di un’opera”. Va considerato che “nel settore paesaggistico, la motivazione può ritenersi adeguata quando risponde ad un modello che contempli, in modo dettagliato la descrizione:
  • dell’edificio mediante indicazione delle dimensioni, delle forme, dei colori e dei materiali impiegati;
  • del contesto paesaggistico in cui esso si colloca, anche mediante indicazione di eventuali altri immobili esistenti, della loro posizione e dimensioni;
  • del rapporto tra edificio e contesto, anche mediante l’indicazione dell’impatto visivo al fine di stabilire se esso si inserisca in maniera armonica nel paesaggio”.
Nel caso in esame, il parere della Commissione Edilizia Integrata non pare riconducibile ad un tale modello: con una formula stereotipata, che pare utilizzabile per una pluralità indifferenziata di casi, esso evidenzia una generica incompatibilità dei materiali e delle caratteristiche costruttive del manufatto con la tutela dei valori estetici e tradizionali del luogo, ma senza alcuno specifico riferimento al rapporto tra l’opera e il contesto paesaggistico di inserimento e al contenuto prescrittivo del provvedimento di vincolo.

Degrado territoriale e vincolo paesaggistico

Inoltre, pur se “la circostanza che una zona sia già degradata non solo non fa venire meno l’esigenza di valorizzarla e comunque di evitare interventi peggiorativi ulteriori dato che un eventuale atto di assenso non può fondarsi sull’accettazione di uno stato di fatto illecito, illegittimo e comunque non coerente con i contenuti del vincolo paesaggistico, ma impone di ‘salvare il salvabile’”, tuttavia il Consiglio di Stato rileva che i marcati elementi di antropizzazione del contesto evidenziati dall’appellante non sono stati oggetto di puntuale contestazione da parte dell’Amministrazione, circostanza che il Collegio ritiene suscettibile di valutazione, data la “limitata consistenza” dell’opera e il contesto di collocazione. A ciò si aggiunga che l’opera progettata, per dimensioni e destinazione, appare funzionale all’esercizio dell’agricoltura e cioè ad un’attività strettamente correlata al mantenimento dei tratti paesaggistici esistenti ed alla conservazione dei preminenti valori ambientali. Argomenti questi che renderebbero auspicabile una motivazione ancor più diffusa ed esaustiva del parere paesaggistico che, ove positivo, potrebbe spingersi fino a dare puntuali indicazioni ( ad esempio, sul piano dei materiali da utilizzare ovvero della tecnica costruttiva) sì da rendere l’opera dell’uomo coerente con il contesto naturale nel quale è inserita. Per queste considerazioni, il Consiglio di Stato ha accolto l’appello e annullato la sentenza del Tar. Qui il testo della sentenza.
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