Edilizia

L’agibilità si riferisce ai soli spazi chiusi, non alle aree esterne di cantiere

Per vietare l’uso dell’immobile al culto islamico è necessario un attento bilanciamento degli interessi: non si può parlare di cantiere perché non ci sono lavori in corso
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L’agibilità si riferisce ai soli spazi chiusi, non alle aree esterne di cantiere

Il Comune non può vietare l’utilizzo di un immobile per attività di culto islamico per difetto di agibilità dell’immobile e perché l’area esterna costituisce un cantiere con lavori attualmente in corso.

È quanto emerge dalla sentenza del TAR Friuli Venezia Giulia n. 110 del 23 marzo 2024. Annullata l’ordinanza con la quale il sindaco aveva vietato l’utilizzo dell’immobile, destinato a luogo di culto, per motivi di pubblica incolumità e sicurezza sul lavoro. Per i giudici non ci sono i presupposti per il divieto.

Difetto di agibilità in area di cantiere: il fatto

Un circolo culturale islamico impugna l’ordinanza sindacale con la quale è stato vietato l’utilizzo dell’immobile di proprietà dell’associazione per svolgere le proprie attività. Secondo l’ordinanza l’immobile è interessato da un intervento edilizio ancora non concluso e privo di collaudo statico e di agibilità. Inoltre, l’area esterna di pertinenza dell’edificio costituisce area di cantiere. Pertanto, per ragioni di tutela della pubblica incolumità, di rispetto della normativa edilizia (art. 75 del d.P.R. 380/2001) e degli obblighi in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro (d.lgs. 81/2008) deve essere inibito l’utilizzo dell’immobile e l’accesso all’area da parte di soggetti estranei.

L’Associazione lamenta la compressione dei propri diritti costituzionali di riunione, associazione, libera professione del culto, nonché l’illegittima limitazione del diritto di proprietà. Secondo l’associazione mancano i presupposti per l’emissione del provvedimento inibitorio. Non si può parlare di carenza di “agibilità” con riferimento ad uno spazio esterno, né considerare “cantiere” un’area non più interessata da lavori.

Il TAR ha accolto le ragioni del circolo culturale, annullando l’ordinanza impugnata.

Bilanciamento degli interessi

Secondo i giudici, non sussistono i presupposti per inibire l’utilizzo dell’immobile nella sua interezza, anche alla luce della sua destinazione all’esercizio di diritti primari tutelati dalla Costituzione, quale la libertà di riunione, di associazione e di culto. Tali diritti, pur non godendo di incondizionata prevalenza sui contrapposti interessi pubblici, richiedono un più attento bilanciamento delle rispettive posizioni da parte della pubblica amministrazione. Bilanciamento che evidentemente – secondo il TAR – non è stato adeguatamente vagliato dal Comune.

Il difetto di agibilità va riferito solo a spazi chiusi

Quanto poi alla presunta carenza di agibilità dei luoghi, tale requisito – dopo la riconduzione ad unità dei concetti di “agibilità” e “abitabilità” (TAR Roma, 10/01/2012, n. 181) – esprime sostanzialmente l’idoneità di un edificio ad essere abitato o, comunque, stabilmente occupato dall’uomo, in ragione delle sue caratteristiche strutturali, funzionali, igienico-sanitarie.

Dunque – si legge nella sentenza – la nozione di agibilità appare naturalmente riferibile ai soli spazi chiusi (la disposizione parla di “edifici” e “unità immobiliari”, quindi strutture edificate), non potendo le aree esterne esprimere analoghe esigenze di controllo strutturale e sicurezza ambientale.

Ne consegue che la mancanza delle condizioni di agibilità dell’edificio non può giustificare l’emanazione di un provvedimento che precluda anche l’utilizzo di un’area esterna pertinenziale, salvo non sussistano esigenze di sicurezza che siano specificamente riferibili a tale area. Esigenze che non emergono nell’ordinanza impugnata.

Area di cantiere

Nemmeno l’area esterna al fabbricato può essere qualificata “cantiere”, con conseguente applicabilità delle norme di sicurezza contenute nel Dlgs 81/2008. Nel caso in esame, il Comune ha prima disposto la temporanea sospensione dei lavori, poi ne ha vietato l’esecuzione, per cui l’associazione avrebbe potuto procedere ai lavori solo previa presentazione di un nuovo titolo edilizio. Occorre dunque escludere la presenza di lavori in corso.

Oltre a tale aspetto formale, nel caso di specie non è possibile riscontrare, anche solo in forma potenziale, dei lavori edili in corso sull’immobile. La permanente apposizione, sulle recinzioni dell’area, di una cartellonistica di cantiere, trattasi di circostanza che non può influire su una qualificazione legata al solo dato sostanziale dell’esistenza di lavori.

Allo stesso modo, la presenza di alcuni materiali edili nell’area non è sufficiente a tramutarla in un cantiere, né tantomeno ad inibirne l’uso generalizzato, potendo al più giustificare un ordine di rimozione di tali materiali, ove se ne riscontri l’effettiva pericolosità.

In definitiva, secondo il TAR, è sbagliato ricondurre le aree circostanti l’immobile alla definizione di “cantiere” contenuta nel d.lgs. 81 del 2008 (“qualunque luogo in cui si effettuano lavori edili o di ingegneria civile”). Di conseguenza, non sono applicabili le norme in materia di sicurezza sul lavoro.

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