La possibile sanabilità di opere in totale difformità non impedisce la demolizione
Il Consiglio di Stato, nella sentenza n. 2424 del 24 marzo 2025, respinge il ricorso per l’annullamento dell’ingiunzione alla demolizione di alcune opere edilizie eseguite in totale difformità, senza il necessario permesso di costruire, in esecuzione della concessione edilizia in precedenza rilasciata dall’amministrazione locale per un’abitazione e annessi agricoli.
Oggetto dell’ordine demolitorio erano le seguenti opere:
- realizzazione del piano interrato con dimensioni e caratteristiche diverse da quelle assentite di ml 21,50 x 31,70 con altezza mt 6,00 circa inferiore rispetto al piano interrato autorizzato di 54,60 x 30,80 con altezza di ml 6,00; ed inoltre con due lati fuori terra e con una tamponatura esterna con porte e finestre a chiusura della parte realizzata delle dimensioni di 31,70 x 6,00;
- realizzazione all’interno del fabbricato di un vano delle dimensioni 4,10 x 8,70 destinato parte a wc e parte a spogliatoio.
Demolizione opere in totale difformità: il caso
La difformità riguardava inoltre la diversa destinazione d’uso del fabbricato, da agricolo a rimessa attrezzature varie e automezzi industriali nonché diversa utilizzazione dell’area antistante il fabbricato utilizzato come deposito di materiali vari.
Il destinatario dell’ingiunzione a demolire ricorreva al Tar Lazio, asserendo che il provvedimento repressivo era stato emesso sull’erroneo presupposto della mancanza di un titolo edilizio, invece individuabile nella concessione edilizia. Contestava inoltre che le difformità rispetto al titolo in questione fossero sanzionabili con la demolizione ai sensi dell’art. 31 del Testo Unico dell’edilizia (Tue), quando invece per la loro modesta entità avrebbero potuto soggiacere a sanzione amministrativa pecuniaria.
La non conformità delle opere
La sentenza di primo grado respingeva il ricorso rilevando che era da considerarsi evidente che l’intervento repressivo si era basato sulla non conformità delle opere realizzate rispetto a quelle assentite. “Le caratteristiche delle difformità accertate sono emerse in modo compiuto soltanto quando il fabbricato è stato completato anche dal punto di vista funzionale, ossia con la chiusura delle pareti non interrate e l’apertura di porte e finestre, interventi certamente attestanti la conclusione dei lavori. Quindi l’opera va ricondotta all’ipotesi della totale difformità dal permesso di costruire, prevista dall’art. 31 del Tue, in ragione del fatto che rispetto al progetto assentito con concessione edilizia il piano interrato concretamente realizzato non è tale, presentando due pareti fuori terra con posa in opera di porte e finestre, così da comportare un organismo edilizio del tutto difforme da quello assentito, venendo a mutare in modo consistente anche la sagoma del fabbricato“.
Il Consiglio di Stato conferma la pronuncia del Tar Lazio, stabilendo che il provvedimento repressivo impugnato si fonda in modo inequivocabile su difformità accertate – e non contestate nella loro materialità – rispetto a quelle assentite con la concessione edilizia. Il fatto che l’ingiunzione a demolire facesse riferimento alla diversa ipotesi della mancanza di titolo va pertanto derubricato ad errore meramente materiale, non incidente sulla sostanza del provvedimento.
L’accertamento della “totale difformità” e la demolizione delle opere
Sulle caratteristiche e la qualificazione giuridica delle opere abusive in discussione, accertata in modo incensurabile la loro natura di interventi realizzati in “totale difformità” rispetto al titolo ad edificare, il Consiglio di Stato precisa che “anche in caso di difformità parziale, ai sensi dell’art. 34 del Tue, si applicherebbe comunque la sanzione demolitoria, salva la possibilità, prevista dal comma 2, da fare valere nella successiva fase di esecuzione del provvedimento repressivo, di fiscalizzare l’abuso con il pagamento di una sanzione in caso di pregiudizio per la parte del manufatto eseguito in conformità. L’ulteriore rilievo della possibile sanabilità dell’abuso medesimo, per il quale si riferisce essere stato rilasciato un parere favorevole da parte dell’amministrazione comunale, non vale ad inficiare l’accertamento su cui si fonda il provvedimento repressivo impugnato“.
In relazione al mutamento di destinazione d’uso del fabbricato e dell’area antistante, in base alla normativa regionale applicabile, risulta necessario il titolo a costruire anche per i mutamenti di carattere funzionale tra categorie urbanisticamente rilevanti. Nel caso di specie, la concessione a suo tempo rilasciata in favore del ricorrente era relativa ad un’abitazione con annessi agricoli in zona omogenea E del piano regolatore generale, cosicché risulta rilevante dal punto di vista urbanistico l’utilizzo della costruzione come rimessa per attrezzature e automezzi industriali. L’asserita (ma non dimostrata) sanabilità, ai sensi dell’art. 36 del Tue, dell’abusivo mutamento di destinazione d’uso accertato, non rileva ai fini della legittimità dell’ingiunzione a demolire.

