Edilizia

Demolizione e ricostruzione: è ristrutturazione o nuova costruzione?

Corte di Cassazione: non è ristrutturazione quando si incrementa la volumetria dell’edificio demolito e ricostruito utilizzando quella di altri edifici demoliti
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Demolizione e ricostruzione: è ristrutturazione o nuova costruzione?
La Corte di Cassazione, con la sentenza 23010/2020, chiarisce quando la demolizione e ricostruzione di un fabbricato può qualificarsi come ristrutturazione . E quando, invece, è una nuova costruzione che necessita del permesso di costruire.

Il fatto: demolizione e ricostruzione di fabbricato con volume e sedime diversi

Il proprietario di un suolo in zona agricola era stato condannato in appello per il reato di lottizzazione abusiva (artt. 30, 44, 1° comma, lett. c), Dpr n. 380 del 2001), per aver demolito quattro edifici (un fabbricato principale e tre ruderi annessi agricoli) e averne ricostruito uno solo, con volumetria pari alla somma di quelli demoliti, in un’area di sedime diversa, sottoposta a vincoli paesaggistici, senza essere in possesso dei requisiti soggettivi per interventi di nuova costruzione, previsti dall’art. 55, comma 4, Lr Lazio n. 38 del 1999. Questo e altri interventi (ulteriori aumenti volumetrici, sbancamento non autorizzato, realizzazione di una strada) erano contestati ad una pluralità di soggetti. Oltre al proprietario stesso, il progettista, il responsabile dello sportello unico. Tutti ricorrevano per Cassazione. I ricorrenti contestavano il reato loro ascritto, sostenendo che:
  1. il reato di lottizzazione abusiva presuppone che le opere edilizie insistano su un suolo inedificato, sicché esso non è configurabile in caso di intervento costruttivo che riguardi un patrimonio edilizio già esistente;
  2.  la lottizzazione è abusiva soltanto quando avviene in violazione delle prescrizioni degli strumenti urbanistici, vigenti o adottati, o comunque stabilite dalle leggi statali o regionali senza la prescritta autorizzazione.
In sostanza, i ricorrenti qualificavano l’intervento edilizio contestato come “ristrutturazione edilizia con limitati aumenti di volume e di superficie e modifiche della sagoma e dei prospetti (cd. ristrutturazione pesante)”. Facendo presente che:
  1. la ristrutturazione edilizia consente la demolizione integrale e la ricostruzione, con mutamento della destinazione d’uso, della preesistenza edilizia con aumento del 10% della volumetria in conformità a quanto prevede l’art. 55, secondo comma, Lr Lazio n. 55/1999;
  2. l’accorpamento degli edifici era stato eseguito per ragioni connesse con la ridotta e scarsa distanza tra gli edifici preesistenti che non ne avrebbe permesso la ricostruzione in ottemperanza ai limiti delle distanze legali dettate dal codice civile e dalla normativa antisismica. Tenendo conto dell’inesistenza di vincoli diversi da quello idrogeologico.

La sentenza: demolire quattro corpi di fabbrica e ricostruirne uno accorpando le volumetrie in area di sedime diversa è nuova costruzione

La Corte di Cassazione ha respinto i ricorsi. E dopo un’attenta disamina delle prove documentali attestanti i fatti, ha affermato che “gli interventi oggetto di scrutinio non possono essere in alcun modo qualificati come interventi di ristrutturazione, bensì come veri e propri interventi di nuova costruzione. La demolizione di ben quattro corpi di fabbrica distanti tra loro e la edificazione, al loro posto, di un unico immobile mediante accorpamento delle volumetrie espresse da quelli precedenti, immobile oltretutto ricostruito in area di sedime diversa da quella precedentemente occupata, in nessun modo può rientrare nella definizione di ristrutturazione. Nemmeno nella forma cd. “pesante”. La utilizzazione, a favore dell’unico edificio ricostruito, delle volumetrie espresse da altri edifici anch’essi demoliti è concetto totalmente estraneo alla definizione della ristrutturazione. È un dato di fatto che tre degli edifici demoliti non sono stati ricostruiti e che il fabbricato ricostruito è comunque completamente diverso, per volumetria, da quello demolito. Oltre a ciò, la ricostruzione dell’edificio demolito in area di sedime diversa da quella iniziale concorre a qualificare l’intervento come di nuova costruzione. Infatti, l’aver eliminato dalla definizione degli interventi di ristrutturazione mediante demolizione e ricostruzione la necessità della riedificazione dell’immobile sulla identica area di sedime (art. 1, comma 1, lett. a), d.lgs. n. 301 del 27 dicembre 2002), non equivale a sostenere che il nuovo edificio possa essere ricostruito altrove senza che ciò determini un sostanziale stravolgimento del concetto di ristrutturazione. Che da mezzo tipico di conservazione del patrimonio edilizio si trasformerebbe in strumento surrettiziamente utilizzato per eludere i nuovi e diversi standard urbanistici gravanti sull’area. La riedificazione sull’area lasciata libera dall’edificio demolito comporta, secondo regole generali, l’applicazione degli standard vigenti al momento della nuova costruzione.

La ristrutturazione edilizia è finalizzata alla conservazione e al ripristino dell’immobile

L’art. 3, comma 1, lett. d), Dpr. n. 380 del 2001, nel definire gli “interventi di ristrutturazione edilizia” non prescinde dalla necessità che venga conservato l’immobile preesistente. Del quale – a prescindere dalla identità di sagoma – deve essere comunque garantito il recupero. Allo stesso modo la ristrutturazione dei manufatti crollati o demoliti è possibile al solo fine del loro “ripristino”. Termine quest’ultimo che esclude la mera demolizione a vantaggio di un edificio diverso. La ristrutturazione ( salvo specifiche eccezioni), non può mai prescindere dalla finalità di recupero del singolo immobile che ne costituisce l’oggetto. Giammai può legittimare interventi come quelli che comportano le demolizione pura e semplice di edifici preesistenti non ricostruiti nella loro fisica esistenza. La nozione di ristrutturazione deve essere oggetto di interpretazione restrittiva poiché la sua disciplina costituisce un’eccezione al principio generale secondo il quale ogni trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio, che ne comporti una rilevante modifica nel suo assetto, necessita di essere assentita con il permesso di costruire.

Quando la demolizione e ricostruzione è considerabile ristrutturazione

Nei casi in cui ricorra la demolizione parziale o totale dell’edificio, la ricostruzione che voglia qualificarsi come ristrutturazione edilizia deve rispettare le linee essenziali della sagoma, l’identità della complessiva volumetria del fabbricato, e la copertura dell’area di sedime, senza alcuna variazione rispetto all’originario edificio. Qualora tali parametri non risultino rispettati, l’intervento deve essere qualificato come nuova costruzione. E sottoposto quindi alla disciplina prevista in materia di nuove edificazioni. Ciò che distingue gli interventi di tipo manutentivo e conservativo da quelli di ristrutturazione è il carattere innovativo di quest’ultima in ordine all’edificio preesistente. Mentre ciò che contraddistingue la ristrutturazione dalla nuova edificazione è la già avvenuta trasformazione del territorio, attraverso una edificazione di cui si conservi la struttura fisica ovvero la cui stessa struttura fisica venga del tutto sostituita. Ma, in quest’ultimo caso, con ricostruzione rispettosa della volumetria e della sagoma della costruzione preesistente. Ferma la possibilità dell’incremento volumetrico (pari al 20 per cento nelle zone agricole), gli interventi devono essere realizzati nel rispetto delle distanze e delle altezze previste dalla legislazione vigente. Non è consentita la traslazione dell’immobile né l’utilizzo a fini di ampliamento volumetrico di fabbricati diversi da quello oggetto di demolizione e ricostruzione.

Quando la delocalizzazione degli edifici demoliti è ammessa

La sentenza indica i casi eccezionali in cui il legislatore ha consentito la delocalizzazione degli edifici demoliti e ricostruiti:
  • interventi nelle fasce di rispetto delle strade pubbliche, ferroviarie, igienico-sanitarie e tecnologiche: la ricostruzione può aver luogo esclusivamente al di fuori delle predette aree o fasce di rispetto, nel medesimo lotto o anche in altro lotto confinante purché l’edificazione sia consentita dagli strumenti urbanistici vigenti;
  • interventi di recupero a fini residenziali di volumi accessori e pertinenziali relativi ad immobili situati in zone destinate urbanisticamente all’agricoltura sono consentiti purché il cambio di destinazione d’uso non superi il 50 per cento della superficie della parte residenziale preesistente fino ad un massimo di 70 mq. (Dm Mit del 14 gennaio 2008);
  • razionalizzazione del patrimonio edilizio esistente: per promuovere e agevolare la riqualificazione di aree urbane degradate, le Regioni possono approvare specifiche leggi per incentivare (a certe condizioni) interventi di demolizione e ricostruzione che prevedano:

a) il riconoscimento di una volumetria aggiuntiva rispetto a quella preesistente come misura premiale; b) la delocalizzazione delle relative volumetrie in area o aree diverse; c) l’ammissibilità delle modifiche di destinazione d’uso, purché si tratti di destinazioni tra loro compatibili o complementari; d) le modifiche della sagoma necessarie per l’armonizzazione architettonica con gli organismi edilizi esistenti ( legge n. 106 del 12 luglio 2011);

  • interventi di ristrutturazione edilizia anche in aree industriali dismesse. È ammessa la richiesta di permesso di costruire anche in deroga alle destinazioni d’uso, previa deliberazione del Consiglio comunale che ne attesta l’interesse pubblico. A condizione che il mutamento di destinazione d’uso non comporti un aumento della superficie coperta prima dell’intervento di ristrutturazione (legge n. 214 del 22 dicembre 2011).

Non è possibile aumentare la volumetria

In ogni caso di intervento di demolizione e ricostruzione, quest’ultima è comunque consentita nel rispetto delle distanze legittimamente preesistenti purché sia effettuata assicurando la coincidenza dell’area di sedime e del volume dell’edificio ricostruito con quello demolito. Nei limiti dell’altezza massima di quest’ultimo (comma 1-ter art. 2-bis Dpr n. 380 del 2001, inserito dalla legge n. 55 del 14 giugno 2019). In conclusione, la ristrutturazione edilizia mediante demolizione e ricostruzione deve essere effettuata rispettando sempre l’area di sedime del manufatto originario; eventuali tolleranze possono essere ammesse nei limiti del 2%. Allo stesso modo, è estranea al concetto di ristrutturazione la possibilità di incrementare la volumetria dell’edificio demolito e ricostruito utilizzando quella di edifici diversi demoliti puramente e semplicemente.
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