Edilizia

Demolizione di un abuso edilizio in presenza di due domande di condono

Corte di Cassazione: ogni edificio va inteso quale complesso unitario qualora faccia capo ad un unico soggetto legittimato alla proposizione della domanda di condono
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Demolizione di un abuso edilizio in presenza di due domande di condono
La Corte di Cassazione, nella sentenza n. 6336 del 18 febbraio 2021, esamina la richiesta di revoca di un ordine di demolizione in presenza di una domanda di condono edilizio prima accolta ma successivamente annullata con sentenza ormai irrevocabile. Tra i motivi di impugnazione, si sosteneva che, considerata la definizione di piccolo abuso che poteva enuclearsi nell’ambito di un volume complessivo di tremila metri cubi, l’immobile oggetto di condanna non era solamente astrattamente condonabile, ma era anche oggetto di rilascio di titolo abilitativo. Inoltre, la demolizione si poneva in contrasto con i principi della Corte europea dei diritti dell’uomo. Dal momento che l’ordine di demolizione era stato intimato dopo ben venti anni dal momento in cui la sentenza di condanna era divenuta irrevocabile.

Le differenti istanze di condono su due porzioni di un unico immobile sono oggetto di valutazione unitaria

La Corte di Cassazione ha ritenuto il ricorso inammissibile, in quanto la domanda di condono era stata rigettata in ragione del mancato completamento funzionale delle opere abusive alla data del 31 dicembre 1993. E quindi doveva considerarsi illegittimo anche il provvedimento di condono invece relativo ad altra porzione del medesimo immobile abusivo. Infatti,  le due differenti istanze di condono, relative a due diverse porzioni dell’unico immobile abusivo dovevano essere oggetto di unitaria valutazione, in quanto concernenti la medesima ed unica struttura realizzata abusivamente. Con riferimento alla quale era stato emesso l’ordine di demolizione a seguito della condanna. Perciò, data l’unitarietà della struttura, non sussistevano i presupposti per il condono in quanto la dimensione della predetta era superiore a 750 metri cubi, con opere ultimate dopo il 31 dicembre 1993.  Perciò, data l’unitarietà della struttura, non sussistevano i presupposti per il condono. Questo in quanto la dimensione della predetta era superiore a 750 metri cubi e le opere erano state ultimate dopo il 31 dicembre 1993.

Le limitazioni alla sanatoria del 1994

L’art. 39, comma 1, della legge n. 724 del 23 dicembre 1994, prevede infatti la possibilità di ottenere la concessione edilizia in sanatoria cd. speciale per le opere abusive ultimate entro il 31 dicembre 1993. Con specifiche limitazioni:
  • se l’abuso ha comportato un “ampliamento” di un immobile preesistente, le opere abusive non devono aver comportato un ampliamento di volumetria superiore al 30% della costruzione originaria ovvero, a prescindere dalla percentuale di ampliamento, una cubatura superiore ai 750 metri cubi;
  • in caso di nuova costruzione, viceversa, l’unico limite è quello dei 750 metri cubi di volumetria.
In materia di condono edilizio, ogni edificio va inteso quale complesso unitario qualora faccia capo ad un unico soggetto legittimato alla proposizione della domanda di condono. Con la conseguenza che le eventuali singole istanze presentate in relazione alle separate unità che compongono tale edificio si riferiscono ad un’unica concessione in sanatoria, onde evitare l’elusione del limite legale di consistenza dell’opera. Qualora, invece, per effetto della suddivisione della costruzione o della limitazione quantitativa del titolo abilitante la presentazione della domanda di sanatoria, vi siano più soggetti legittimati, è possibile proporre istanze separate relative ad un medesimo immobile. Detto limite è applicabile a tutte le opere, senza distinzione tra residenziali e non residenziali.

L’ordine dei demolizione non è una “pena” con finalità punitive

Per quanto riguarda poi l’asserita violazione della Convenzione sui diritti dell’uomo, la Corte ricorda “la natura prettamente amministrativa dell’ordine di demolizione riconosciuta da un consolidato e pluriennale indirizzo giurisprudenziale. La demolizione del manufatto abusivo assolve ad un’autonoma funzione ripristinatoria del bene giuridico leso, configura un obbligo di fare, imposto per ragioni di tutela del territorio, non ha finalità punitive ed ha carattere reale, producendo effetti sul soggetto che è in rapporto con il bene, indipendentemente dall’essere stato o meno quest’ultimo l’autore dell’abuso. In sostanza, l’ordine impartito dal giudice non è soggetto alla prescrizione quinquennale stabilita per le sanzioni amministrative. E non può ritenersi una “pena” nel senso individuato dalla giurisprudenza della Corte EDU.
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