Spetta al privato provare in giudizio la data dell’abuso edilizio
                                Spetta al privato dimostrare se le opere abusive sanzionate con la demolizione coincidono con quelle oggetto di un previo condono e conseguentemente la data dell’abuso edilizio. È quanto stabilito dal Consiglio di Stato con la sentenza della VI sezione del 15 dicembre 2023 n. 10864, in un caso che riguardava due piscine e terrazzamenti, realizzati secondo il proprietario, come opere di completamento di precedenti abusi già condonati.
Il caso
Il Comune di Positano aveva ingiunto alla proprietaria di un immobile di demolire le opere abusive accertate durante un sopralluogo. Si trattava in particolare della realizzazione di due piscine e di terrazzamenti che, a detta del Comune, avrebbero cambiato la destinazione dell’area, comportando tra l’altro un aumento di superficie utile non residenziale. La proprietaria proponeva ricorso contro l’ordine di demolizione, rappresentando di aver presentato per gli abusi una domanda di condono edilizio ai sensi dell’art. 32 L. 326/2003.
Era incerto però se le opere edilizie oggetto del condono coincidessero o meno con quelle contestate nel verbale di sopralluogo, poi oggetto di ordinanza demolitoria.
A detta dei Giudici, l’esame della documentazione ed in particolare il raffronto tra la domanda di condono edilizio e il verbale di sopralluogo evidenziavano che le opere riscontrate durante il sopralluogo fossero abusi ulteriori rispetto a quelli oggetto del condono.
Data dell’abuso edilizio: l’onere della prova grava sul ricorrente
Il Consiglio di Stato, adito in fase di appello dalla proprietaria dell’immobile contro la sentenza del TAR di rigetto del ricorso, ricava dall’art. 64 c.p.a. la conclusione secondo cui grava sul proprietario e ricorrente l’onere di dimostrare che l’oggetto della domanda di condono sia effettivamente coincidente con gli abusi accertati.
Più precisamente, richiamando il proprio consolidato orientamento in materia, il Consiglio di Stato afferma i seguenti principi:
- in base al principio della vicinanza della prova, grava sul privato l’onere di dimostrare la data di realizzazione e la consistenza originaria dell’immobile abusivo, perché solo l’interessato è in grado di fornire i documenti e gli elementi probatori che possano radicare la ragionevole certezza dell’epoca di realizzazione di un manufatto (Cons. St. 2115/2019);
 - solo la deduzione da parte del privato di concreti elementi di riscontro trasferisce il suddetto onere
di prova contraria in capo all’Amministrazione (Cons. St 10904/2022). 
Nel caso di specie, concludono i giudici di Palazzo Spada, la ricorrente non aveva fornito la prova che le opere individuate nel sopralluogo coincidessero con quelle oggetto di condono.
La realizzazione di una piscina non è opera di completamento
Secondo il Supremo Collegio, neppure la descrizione di tali opere come opere di completamento poteva essere accettata. Gli abusi controversi, riguardati nel loro complesso quale insieme organico di opere, sono ritenuti dal Consiglio di Stato come “suscettibili di comportare una trasformazione materialmente e funzionalmente rilevante del territorio, attraverso la realizzazione di ben due piscine, assoggettate, come tali, al regime abilitativo del permesso di costruire nonché attraverso l’incremento degli spazi residenziali e degli spazi pertinenziali a servizio di essi, per cui non presentavano i predicati estremi della mera sistemazione esterna o del mero completamento funzionale, ma richiedevano, piuttosto, il previo rilascio del permesso di costruire, in mancanza del quale erano sanzionabili in via esclusivamente demolitoria”.
Per di più, le opere contestate ricadevano anche in area paesaggisticamente vincolata, dunque, secondo i Giudici, avrebbero richiesto in ogni caso il previsto rilascio del titolo abilitativo, in mancanza del quale le stesse sono sanzionabili con la demolizione a prescindere dalla loro qualificazione edilizia.
                                    
