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Danno per responsabilità della PA, quando si può pretendere il risarcimento?

Il danno di un interesse legittimo causato da potere discrezionale non è risarcibile se l'amministrazione mantiene l'autorità di determinarsi
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Danno per responsabilità della PA, quando si può pretendere il risarcimento?

Il Consiglio di Stato, nella sentenza n. 6930 del 6 settembre 2025, chiarisce i presupposti per richiedere il risarcimento per “lucro cessante” e “danno emergente” nei confronti della Pubblica Amministrazione in caso di danno per responsabilità di quest’ultima, ribadendo che “la responsabilità della pubblica amministrazione per lesione di interessi legittimi, sia da illegittimità provvedimentale sia da inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento, ha natura di responsabilità da fatto illecito aquiliano e non già di responsabilità da inadempimento contrattuale; è pertanto necessario accertare che vi sia stata la lesione di un bene della vita“.

Danno per responsabilità della Pubblica Amministrazione: il caso

Il risarcimento era stato richiesto da un Consorzio per l’edilizia residenziale, che aveva partecipato a un concorso regionale per il finanziamento di progetti di housing sociale, consistenti nella costruzione di alloggi da concedere in locazione a canone concertato. A tal fine, il Consorzio ha presentato un progetto per la cui esecuzione sarebbe stato necessario che un Comune autorizzasse, con apposita variante urbanistica, la trasformazione di un’area agricola in area edificabile.

Per partecipare al concorso, il bando richiedeva che il proponente del progetto avesse acquisito “la disponibilità, da parte dell’Amministrazione comunale, al perseguimento delle finalità e degli obiettivi sanciti dalla presente iniziativa“. Pertanto, il Consorzio ha allegato alla propria domanda la delibera di giunta nella quale il Comune aveva dichiarato di perseguire le finalità e gli obiettivi dell’iniziativa, specificando che la realizzazione del progetto proposto dal Consorzio era subordinata all’approvazione di una variante urbanistica.

Il danno emergente e il lucro cessante

Il Consorzio era stato ammesso a un finanziamento regionale, che però non ha conseguito, perché, con delibera, il consiglio comunale ha respinto la proposta di variante presentata dal Consorzio. Quest’ultimo, dunque, si è rivolto al Tar per domandare l’annullamento della delibera consiliare e la condanna del Comune al risarcimento del danno, composto, quanto al lucro cessante, dal mancato profitto ritraibile dalla realizzazione del progetto di housing sociale e, quanto al danno emergente, dalle spese sostenute per il pagamento di due fatture per servizi, resi da soggetti terzi, propedeutici alla progettazione e alla realizzazione dell’iniziativa.

Il Tar ha accolto la domanda di annullamento, mentre ha respinto la domanda risarcitoria. Il giudice amministrativo ha ritenuto illegittima la delibera consiliare, per difetto di motivazione: l’atto avrebbe dovuto essere motivato, vertendo su una variante puntuale (per la modificazione della destinazione urbanistica di una specifica area) e impattando negativamente sul legittimo affidamento che il Consorzio aveva maturato dopo che la giunta comunale.

Danno per responsabilità della Pubblica Amministrazione: il mancato ristoro del danno

In relazione alla domanda risarcitoria, invece, il giudice ha escluso il ristoro del danno da lucro cessante per mancanza della prova di spettanza del bene della vita (cioè dell’accoglibilità della variante), alla luce della natura formale del vizio riscontrato nel provvedimento annullato e del fatto che, in giudizio, il Comune aveva spiegato che, ormai, con una variante generale, erano state individuate altre aree (diverse da quella selezionata dal Consorzio) destinate all’edilizia popolare.

Il risarcimento del danno emergente è stato escluso per la mancata dimostrazione dell’avvenuto pagamento delle due fatture richieste in rimborso e poiché queste si riferivano a non meglio specificate prestazioni di progettazione, consulenza e supporto, senza prova della loro attinenza all’iniziativa consortile.

In appello, è stata confermata la sentenza di primo grado, basata sul consolidato insegnamento giurisprudenziale, secondo cui la responsabilità dell’amministrazione per lesione dell’interesse legittimo ha natura aquiliana ex art. 2043 cod. civ. e presuppone, quindi, la prova dell’ingiustizia del danno, che può ritenersi integrata solo se risulti dimostrato che, ove l’amministrazione avesse correttamente e tempestivamente esercitato il proprio potere, il privato avrebbe ottenuto o mantenuto il cd. bene della vita, ossia l’utilità sostanziale da questi anelata.

Il danno da lesione di un interesse legittimo pretensivo che si interfaccia con un potere discrezionale non è risarcibile ex ante, fintanto che l’amministrazione mantenga l’autorità di determinarsi, discrezionalmente, sulla vicenda amministrativa, poiché il margine di apprezzamento riservato alla pubblica amministrazione impedisce di esercitare, in sede giurisdizionale, il giudizio prognostico di spettanza del bene della vita.

Il margine di discrezionalità della PA

Nel caso in esame, l’interesse legittimo pretensivo del Consorzio alla variazione della destinazione urbanistica (da agricola a edificabile) dell’area su cui intende realizzare il progetto di housing sociale è subordinato alla decisione discrezionale del consiglio comunale e tale margine di discrezionalità residua anche dopo che la prima determinazione negativa del Comune è stata annullata dal giudice amministrativo.

Annullando la delibera di rigetto della proposta di variante del Consorzio, per mancanza di motivazione, il Tar ha lasciato libero il Comune su come rieditare il potere. In questo senso va intesa la qualificazione, effettuata dal giudice di primo grado, del difetto di motivazione come vizio “formale”, ossia come vizio che non si appunta sulla soluzione adottata dalla pubblica amministrazione, bensì sulla mancata esplicitazione delle ragioni di tale soluzione, e che non impedisce a questa di rideterminarsi anche in senso nuovamente sfavorevole al privato, una volta che il vizio sia stato riscontrato in giudizio e il provvedimento annullato, fermo il dovere di motivare la nuova scelta.

Il danno per responsabilità della Pubblica Amministrazione da perdita di chance

Non è stato nemmeno riconosciuto un risarcimento da perdita di chance, poiché tale posta risarcitoria afferisce a un differente tipo di danno e non può costituire un escamotage per sopperire alla mancata dimostrazione della spettanza del bene della vita. Il danno da perdita di chance, intesa come occasione sfumata, si configura quando, per via dell’illegittimo o del mancato esercizio del potere amministrativo, il titolare di un interesse legittimo pretensivo perde definitivamente la possibilità di conseguimento di un bene della vita di incerta realizzazione.

È necessario che il potere illegittimamente esercitato o che colposamente non è stato esercitato dalla PA non sia più esercitabile. Se, infatti, il potere persiste, il risultato finale è ancora conseguibile, sicché l’occasione non è definitivamente persa, ma, al contempo, non è possibile pretendere un risarcimento, se non dopo il suo riesercizio.

Come già chiarito in giurisprudenza, “la tecnica risarcitoria della chance presuppone una situazione di fatto immodificabile, che abbia definitivamente precluso all’interessato la possibilità di conseguire il risultato favorevole cui aspirava. Solo qualora il procedimento amministrativo dichiarato illegittimo non sia in alcun modo ‘ripetibile’ il giudizio di ingiustizia può assumere ad oggetto la perdita della possibilità di un vantaggio” (Cons. Stato, Sez. VI, n. 6268 del 13 settembre 2021).

Quando si può pretendere il risarcimento

Se il potere amministrativo non è più esercitabile e la vicenda amministrativa si è esaurita con la perdita del bene della vita, se dal legittimo esercizio del potere sarebbe derivato il conseguimento certo dell’utilità finale, il privato è titolato a pretendere il risarcimento del danno correlato al mancato guadagno ritraibile da tale risultato. Se, invece, il potere (ormai esaurito) ha carattere discrezionale, sicché è intrinsecamente incerto se, ove correttamente esercitato, il privato avrebbe conseguito il bene della vita, può pretendersi il risarcimento del diverso danno da perdita della chance, dunque non del mancato conseguimento del guadagno (ineluttabilmente incerto), ma dell’occasione di ottenere tale guadagno.

Nel caso in esame, il potere di adozione della variante urbanistica proposta dall’appellante è riesercitabile e, anzi, dovrebbe essere riesercitato in ossequio alla pronuncia di annullamento del provvedimento sfavorevole. Ne consegue che il Consorzio non ha definitivamente perso la possibilità di realizzare il proprio progetto e non può pretendere il ristoro di un controvalore di tale progetto, né configurandolo in termini di danno da lucro cessante, né ricorrendo alla tecnica liquidatoria della perdita della chance.

La quantificazione del danno

Il danno era stato quantificato forfettariamente dal Consorzio nella misura del 5% dei costi asseritamente sostenuti per il progetto, senza fornire prove a riguardo. Tale pretesa risarcitoria non è stata accolta, poiché, per consolidato insegnamento giurisprudenziale, è onere del danneggiato offrire la prova dell’utile che avrebbe conseguito da un’iniziativa ostacolata dall’illegittimo esercizio del potere, per cui il risarcimento non può essere quantificato mediante criteri forfettari.

Le dizioni “lucro cessante” e “danno emergente”, di cui all’art. 1223 cod. civ., sono semplicemente indicative dei vari pregiudizi materiali (i cd. danni conseguenza), suscettibili di risarcimento, che discendono dalla lesione di un interesse meritevole di tutela, ossia dal “danno ingiusto” enunciato dall’art. 2043 cod. civ. Dal momento che il danno, inteso come lesione giuridica, è unico, il mancato accertamento della sua ingiustizia impedisce di riconoscere ristoro a ogni pregiudizio materiale a esso correlato, tanto che si tratti della perdita di utilità già nella disponibilità del danneggiato (danno emergente), quanto che si tratti del mancato conseguimento di utilità future (lucro cessante).

Inoltre, le spese funzionali alla progettazione e alla realizzazione dell’iniziativa consortile non sono poste di danno emergente, ma componenti negative del lucro cessante. Il Consorzio aveva domandato il risarcimento del mancato profitto ritraibile dalla realizzazione del progetto, costituito dalla somma algebrica dei ricavi e dei costi correlati all’intervento. Le spese per prestazioni di progettazione e per prestazioni di consulenza e sviluppo, rese da soggetti terzi in funzione del progetto consortile, non sono altro che costi che, detratti dai ricavi, vanno a formare l’utile finale. Essi non possono, quindi, essere richiesti in rimborso in aggiunta al mancato guadagno.

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