Quali sono le responsabilità per i danni a terzi durante un appalto

La Corte di Cassazione, nella sentenza n. 11857 del 6 maggio 2025, fornisce chiarimenti sulle responsabilità del committente e dell’appaltatore in caso di danni arrecati a terzi nell’esecuzione dell’appalto, decidendo sulla richiesta di risarcimento danni avanzata dalla proprietaria di un immobile nei confronti di una società proprietaria di un immobile confinante, i cui lavori di ristrutturazione avevano provocato danni da infiltrazioni, cui andavano aggiunti i danni subiti dall’attrice per il mancato utilizzo dell’abitazione nel periodo estivo, quelli per i beni mobili rovinati e per le conseguenze personali dal punto di vista sanitario.
Nei gradi di giudizio di merito, erano stati condannati in solido, al risarcimento di tutti danni gli appaltatori e subappaltatori dei lavori, ma era stata esclusa la responsabilità della società proprietaria/committente dei lavori di demolizione del fabbricato “neppure sotto il profilo invocato della responsabilità del custode“. La danneggiata era quindi ricorsa in Cassazione, ma i suoi motivi sono stati ritenuti infondati.
Danni a terzi in appalto: i principi da onorare
La sentenza riporta alcuni principi e orientamenti in materia di responsabilità del proprietario di un immobile che commissiona un appalto privato edile da cui siano derivati danni a terzi.
Nel caso in cui i danni siano stati causati a terzi da un’attività di esecuzione di un appalto, risponde di regola esclusivamente l’appaltatore, in quanto la sua autonomia impedisce di applicare l’art. 2049 c.c. al committente, fatta salva l’ipotesi in cui il danneggiato provi una concreta ingerenza del committente nell’attività dell’appaltatore e/o la violazione di specifici obblighi di vigilanza e controllo, gravanti sul committente, ipotesi nella quale è configurabile la responsabilità del committente, concorrente o esclusiva rispetto a quella dell’appaltatore.
La responsabilità del custode
Il committente può rispondere anche ai sensi dell’art. 2051 c.c. in quanto l’appalto e l’autonomia dell’appaltatore non escludono la permanenza della qualità di custode della cosa da parte del committente, fatta salva l’ipotesi in cui il committente dimostri che il danno si è verificato per causa esclusiva del fatto dell’appaltatore, o quale fatto del terzo che egli non poteva prevedere e/o impedire, ipotesi questa nella quale il committente è esonerato da responsabilità e, in caso di condanna, ha comunque il diritto di agire eventualmente in manleva contro l’appaltatore.
La responsabilità di cui all’art. 2051 c.c. ha carattere oggettivo, e non presunto, essendo sufficiente, per la sua configurazione, la dimostrazione da parte dell’attore del nesso di causalità tra la cosa in custodia ed il danno, mentre sul custode grava l’onere della prova liberatoria del caso fortuito, senza alcuna rilevanza della diligenza o meno del custode.
L’art. 2051 c.c., nel qualificare responsabile chi ha in custodia la cosa per i danni da questa cagionati, individua un criterio di imputazione della responsabilità che prescinde da qualunque connotato di colpa, sicché incombe al danneggiato allegare, dandone la prova, il rapporto causale tra la cosa e l’evento dannoso, indipendentemente dalla pericolosità o meno o dalle caratteristiche intrinseche della prima.
La deduzione di omissioni, violazioni di obblighi di legge, di regole tecniche o di criteri di comune prudenza da parte del custode rileva ai fini della sola fattispecie dell’art. 2043 c.c., salvo che la deduzione non sia diretta soltanto a dimostrare lo stato della cosa e la sua capacità di recare danno, a sostenere allegazione e prova del rapporto causale tra quella e l’evento dannoso.
Il caso fortuito che in appalto provoca danni a terzi
Il caso fortuito, rappresentato da fatto naturale o del terzo, è connotato da imprevedibilità ed inevitabilità, da intendersi però da un punto di vista oggettivo e della regolarità causale (o della causalità adeguata), senza alcuna rilevanza della diligenza o meno del custode. Peraltro “le modifiche improvvise della struttura della cosa incidono in rapporto alle condizioni di tempo e divengono, col trascorrere del tempo dall’accadimento che le ha causate, nuove intrinseche condizioni della cosa stessa, di cui il custode deve rispondere“.
Il caso fortuito, rappresentato dalla condotta del danneggiato, è connotato dall’esclusiva efficienza causale nella produzione dell’evento. A tal fine, la condotta del danneggiato che entri in interazione con la cosa si atteggia diversamente a seconda del grado di incidenza causale sull’evento dannoso in applicazione anche ufficiosa dell’art. 1227 c.c., comma 1. Deve inoltre essere valutata tenendo anche conto del dovere generale di ragionevole cautela riconducibile al principio di solidarietà espresso dall’art. 2 Cost.
L’imprudenza del danneggiato
Quanto più la situazione di possibile danno è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l’adozione da parte dello stesso danneggiato delle cautele normalmente attese e prevedibili in rapporto alle circostanze, tanto più incidente deve considerarsi l’efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno, fino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso, quando lo stesso comportamento, benché astrattamente prevedibile, sia da escludere come evenienza ragionevole o accettabile secondo un criterio probabilistico di regolarità causale.
La responsabilità del direttore lavori e del subappaltatore
Nella cornice della responsabilità per custodia, la Corte di Cassazione riconosce, nel caso in esame, che la Corte territoriale ha dimostrato in modo piano e chiaro le responsabilità sia del direttore dei lavori sia della ditta subappaltante esecutrice dei medesimi, dando conto delle circostanze secondo cui la progettazione e direzione di tutti i lavori riguardanti l’edificio confinante con quello dell’attrice fosse stata affidata dalla società proprietaria a un architetto e a un’impresa che a sua volta aveva subappaltato l’esecuzione della demolizione del fabbricato ad altra impresa sempre sotto la direzione del predetto professionista.
I danni riportati dal fabbricato dell’attrice furono “la conseguenza dell’inosservanza di regole di prudenza e di condotta nell’esecuzione della demolizione del fabbricato quali la mancata protezione della parete muraria posta sul lato nord del fabbricato di proprietà dell’attrice, in modo da renderla impermeabile all’acqua piovana e la non idoneità nel caso specifico delle modalità dell’attività di demolizione che anziché essere eseguita a piccoli tratti è stata fatta in un’unica fase, procedendo dall’alto verso il basso con l’ausilio di mezzi meccanici… sicché il quadro fessurativo riscontrato sull’immobile risulta essere perfettamente compatibile con le sollecitazioni prodotte da un pesante mezzo meccanico durante le fasi di demolizione“.
Giustamente quindi la Corte d’appello ha ritenuto che il danno cagionato al fabbricato della ricorrente dall’atto dei terzi (in particolare, dalla demolizione del fabbricato effettuata dalla ditta subappaltatrice, sotto la supervisione del direttore dei lavori) sia stato espressione di una condotta oggettivamente imprevedibile e imprevenibile da parte del committente in quanto custode del bene.