Che differenza c’è fra ristrutturazione e nuovo intervento edilizio in termini di condono? Una vicenda processuale consente di fare chiarezza al riguardo.
Il caso
Un proprietario di un’attività commerciale presentato
domanda di condono edilizio (ex D.l. 269/2003) per la trasformazione di un deposito interrato in locale annesso alla propria attività commerciale, con possibilità di accesso delle persone. Il Comune di Milano gli aveva richiesto il pagamento di oltre 31mila euro per il rilascio del condono. Per questo il proprietario dell’attività commerciale, vista la considerevole cifra, si era rivolto al Tar, contestando l’applicazione delle tariffe stabilite dal Comune e soprattutto la qualificazione che il Comune aveva dato del suo intervento edilizio, definito come nuova costruzione quando invece sarebbe stata
a suo dire una semplice ristrutturazione.
Il Tar aveva dato ragione al proprietario, ma il Consiglio di Stato ha ribaltato la decisione del primo Giudice.
Ampliamento volumetrico: ristrutturazione o nuovo intervento edilizio?
Il punto controverso stava nel fatto che l’intervento edilizio aveva comportato un
ampliamento del locale preesistente pari a 44,19 mq.
Secondo il Comune, un tale incremento del carico urbanistico non poteva rientrare in una semplice ristrutturazione, che dovrebbe limitarsi invece alla modifica dell’edificio senza aumento della sua consistenza.
Il proprietario al contrario riteneva che l’ampliamento del fabbricato fosse compatibile con la ristrutturazione. Il Tar Lombardia (sezione seconda) aveva accolto la tesi del proprietario, facendo leva sull’art. 10 comma 1 lett. c) DPR 380/2001 che assoggetta a permesso a costruire “gli interventi di ristrutturazione edilizia che portino…..(a) modifiche del volume…”. Dalla lettera della norma,
secondo il Tar, si potrebbe argomentare che
anche la ristrutturazione possa determinare modifiche del volume.
La posizione del Consiglio di Stato
Di contrario avviso invece il Consiglio di Stato, IV sezione, che con la pronuncia in commento,
n. 4499 del 11 giugno 2021 traccia il confine tra
ristrutturazione e
nuovo intervento edilizio. Per il Supremo Collegio, non è corretta l’interpretazione dell’art. 10 DPR 380/2001 utilizzata dal TAR Lombardia. La norma, infatti, parla testualmente di “modifiche” del volume ma non anche di incrementi, “
coerentemente con l’esigenza di evitare che il carico urbanistico dell’edificio venga incrementato in mancanza d’indice di edificabilità residuo”.
Le
modifiche di volumetria e superficie nell’ambito della ristrutturazione devono, quindi, avere
portata minima e marginale rispetto all’intervento di ristrutturazione, “
altrimenti si ricade nell’ampliamento, come è accaduto nel caso in esame”. L’aumento di 44,19 mq equivale infatti alla creazione di una nuova unità insediativa e per questo, secondo i giudici di Palazzo Spada, bene ha fatto il Comune di Milano a qualificare l’intervento abusivo come una nuova costruzione e non come ristrutturazione.