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Codice Appalti: servono nuove regole per sfruttare le risorse del PNRR

Procedure più snelle, verifiche preventive dei progetti. Ecco alcune delle richieste degli operatori di settore per la revisione del Codice dei Contratti
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Codice Appalti: servono nuove regole per sfruttare le risorse del PNRR
Una normativa snella, in linea con i dettami europei, evitando il processo di concentrazione delle stazioni appaltanti. Vietando, di fatto, l’accorpamento artificioso dei lotti. E ancora: il nuovo Codice degli Appalti dovrà prevedere il coinvolgimento delle micro e piccole imprese. Sono queste alcune delle richieste che associazioni ed operatori del settore hanno segnalato durante il ciclo di audizioni svolte dalla Commissione Lavori Pubblici del Senato, nell’ambito dell’esame del disegno di legge delega al governo in materia di contratti pubblici (DDL 2330 /S). Da Ance a CNA; da Upi, l’Unione delle provincie italiane, sino a Conforma, l’Associazione degli Organismi di Certificazione, Ispezione, Prova e Taratura, e a Unionsoa, l’Associazione Nazionale Società di Attestazione. Ecco una carrellata delle principali tematiche emerse nel corso delle audizioni.

Ance e Codice Appalti

Per sfruttare al meglio le grandi opportunità offerte dal PNRR, è indispensabile un “cambio di passo”: occorre riorganizzare il settore delle costruzioni in maniera più snella, a partire dalla normativa, in linea con quello che l’Europa sta chiedendo da anni. E’ questa la posizione espressa da Ance nel corso dell’audizione. Tra i punti fondamentali: prendere atto del fallimento del Codice dei contratti pubblici (d.lgs. 50/2016), che risulta del tutto disapplicato. Per dar vita ad una normativa sui lavori pubblici moderna ed efficace, sarà fondamentale superare la “presunzione di colpevolezza”, in cui versa il comparto delle imprese. Tra gli obiettivi irrinunciabili, l’emanazione di un nuovo Regolamento attuativo, dedicato ai lavori pubblici, distinto da servizi e forniture, in cui recepire anche le norme comunitarie.

Snellimento delle procedure

È fondamentale lo snellimento delle procedure di approvazione dei progetti delle opere pubbliche, che attualmente si basano su tre livelli successivi di progettazione, ciascuno con un autonomo procedimento approvativo. Più in generale, occorre snellire la fase che precede la messa a gara dei lavori. Inoltre, bisogna evitare che il processo di concentrazione delle stazioni appaltanti produca un fenomeno di “gigantismo” della domanda. Ecco perché, secondo Ance, va vietato l’accorpamento artificioso dei lotti. Ma non finisce qui: i Costruttori vogliono prevedere un principio di delega dedicato alla tutela delle MPMI, al fine di garantire loro l’effettiva possibilità di partecipazione alle gare. Ultima questione, il contenzioso. Secondo Ance “E’ importante potenziare gli strumenti di tutela alternativi al contenzioso giudiziario, nell’ottica di risolvere in tempo utile eventuali contenziosi”. Ottima, in tal senso, l’introduzione dell’istituto del Collegio Consultivo Tecnico.

CNA: aprire il mercato alle imprese

La nuova disciplina per gli appalti pubblici dovrà prevedere un effettivo coinvolgimento delle micro e piccole imprese. A oltre il 96% delle imprese italiane è riservato soltanto il 17% del mercato degli appalti pubblici, mentre l’83% viene affidato a meno del 4% delle imprese. E’ quanto ha sottolineato la CNA nel corso dell’audizione in Senato. Per gli artigiani la legge delega deve individuare soluzioni normative per rendere obbligatoria la suddivisione in lotti. La nuova disciplina inoltre dovrebbe favorire e promuovere le aggregazioni tra gli operatori economici. Senza dimenticare la necessità della qualificazione delle stazioni appaltanti e una semplificazione della disciplina per gli appalti sotto soglia. Per non penalizzare micro e piccole imprese. Tema subappalto: l’eliminazione di ogni limite rischia di premiare imprese prive di capacità organizzativa. Pertanto, è “opportuno reintrodurre limiti al subappalto, almeno nell’ambito degli importi sotto soglia”.

Upi: ridurre le stazioni appaltanti

Semplificare le procedure della disciplina sui contratti pubblici, ridurre il numero delle stazioni appaltanti, qualificando le strutture delle Province e delle Città metropolitane. E’ questa la posizione espressa da Upi, l’Unione delle provincie italiane. Innanzitutto, bisogna creare “un sistema più strutturato e qualificato di stazioni appaltanti pubbliche – si legge in una nota ufficiale -. Ad oggi 53 Province delle 76 delle Regioni a Statuto Ordinario hanno attivato il servizio di Stazione Unica Appaltante, e sono oltre 1.500 i Comuni che hanno aderito ad una SUA Provinciale per un totale di gare svolte nel 2020, in piena pandemia e con tutte le limitazioni imposte dalle restrizioni sanitarie, pari a oltre 1.800 per un importo di più di 2 miliardi e 100 milion”. Un esempio di buona amministrazione che va valorizzata, attraverso un’indicazione chiara del legislatore con la “qualificazione di diritto delle stazioni appaltanti delle Province e delle Città metropolitane”.

Conforma: la verifica preventiva della progettazione

In sede di audizione, i dirigenti di Conforma si sono soffermati sulle attività di controllo concernenti la verifica preventiva della progettazione. Facoltà concessa anche alle stesse stazioni appaltanti, “non privilegiando il ricorso ai controlli svolti da enti terzi che garantiscono invece il massimo livello di indipendenza”. Interventi che rischiano di “pregiudicare la sicurezza e la qualità delle opere”. Secondo Conforma “la verifica preventiva dei progetti consente di individuare prima della realizzazione dell’opera, problemi e criticità che sarebbero stati oggetto di contenzioso tra i soggetti coinvolti nella costruzione”. Questo permette di evitare ritardi, malfunzionamenti, rischi per la sicurezza e futuri costi non previsti. In tal senso, le attività di controllo operate da soggetti terzi, indipendenti, qualificati e organizzati in maniera multidisciplinare, sono lo “strumento migliore per accelerare la realizzazione delle opere”.

Unionsoa e le SOA

Unionsoa ha invece posto l’accento sulla necessità di estendere la qualificazione SOA al settore dei servizi. Ciò consentirebbe di verificare il possesso dei requisiti di ordine generale e speciale degli operatori economici che partecipano alle relative procedure di gara. Riducendo i tempi ed i costi delle stazioni appaltanti per la verifica dei requisiti. Tra gli altri vantaggi: l’eliminazione della discrezionalità e rendere sufficiente – in fase di ammissione dei concorrenti – la dichiarazione da parte degli operatori economici di possedere l’attestazione SOA. Altra questione importante: le SOA dovrebbero avere accesso a tutte le banche dati della PA rilevanti ai fini dell’attestazione. In questo caso, si registrerebbe una notevole riduzione dei costi di funzionamento della macchina pubblica.

Equo compenso e Confprofessioni

Nel corso delle audizioni al Senato si è parlato anche di equo compenso. Un principio che “Tutti gli appalti pubblici devono rispettare” hanno spiegato i rappresentanti di Confprofessioni.  Quello relativo all’equo compenso non è l’unico intervento di correzione e di integrazione della legge delega. Tra le altre proposte, l’estensione dell’istituto del Collegio Consultivo Tecnico (CCT): “Una leva a garanzia della continuità dei lavori in caso di controversie tra le parti. Inoltre, per rendere più agile la partecipazione alle procedure da parte degli operatori economici e per ridurre gli errori materiali, l’ANAC potrebbe predisporre dei modelli unici dei documenti di gara”. Ma per un vero rilancio del mercato dei servizi di ingegneria e architettura, Confprofessioni chiede di limitare le mansioni dei professionisti appartenenti alla Pubblica Amministrazione, per evitare sovrapposizioni con le materie di competenza dei liberi professionisti.

Oice, Anci e RPT

Anche Oice si è soffermata sulla necessità di prevedere, nei contratti pubblici, l’equo compenso e la corretta stima dei corrispettivi. Tra le altre misure, ecco la limitazione dei ribassi eccessivi e la semplificazione della partecipazione alle gare con l’applicazione rapida del “fascicolo virtuale” dell’operatore economico. E ancora: la limitazione dell’appalto integrato; la riduzione della soglia per gli affidamenti diretti. Per Anci, l’obiettivo principe è la semplificazione. Da estendere “a tutte le altre tipologie di opere che non attingono da tali risorse. Non solo nella fase di affidamento ma anche in quella della programmazione, pianificazione e progettazione”. La Rete delle Professioni Tecniche si è soffermata invece sulla questione dell’appalto integrato: va limitato ai soli casi in cui può essere utile l’apporto dell’impresa nella fase progettuale esecutiva. Nel caso in cui, dunque, il contenuto tecnologico sia superiore al 70% dell’importo totale dell’opera.
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