Effetto Salva Casa: il cambio di destinazione d’uso si fa con Scia

Il Tar Campania, nella sentenza n. 1198 del 25 giugno 2025, ha accolto il ricorso di due comproprietari di una unità immobiliare composta da due locali adibiti a rivendita di tabacchi e di articoli di salumeria. Dismessa l’attività, i due locali, già strutturalmente annessi all’abitazione, erano stati destinati nuovamente a uso residenziale ed era stata chiesta la sanatoria per un ampliamento eseguito al loro interno. Ma il Comune, nel presupposto che le attività in contestazione fossero eseguite su un bene oggetto d’istanza di condono pendente, aveva ingiunto il ripristino della precedente destinazione d’uso dei due locali in questione. Si contestava infatti che, ai fini del cambio di destinazione d’uso, sarebbe stato necessario ottenere il permesso di costruire, non considerando però quanto introdotto dal Decreto Salva Casa.
La sentenza del Tribunale e il ricorso
I due comproprietari hanno proposto ricorso contestando l’illegittimità del provvedimento di demolizione per due motivi: il Tribunale aveva già riconosciuto con sentenza la formazione del titolo in sanatoria per silentium, quindi non pendeva nessun procedimento di condono. L’intervento interno alla medesima unità abitativa rientra nell’edilizia libera, in seguito delle modifiche intervenute con il decreto-legge n. 69/2024 (Salva Casa), quindi per il cambio di destinazione d’uso si sarebbe dovuta presentare una Scia, non un permesso di costruire.
Il Tar ha accolto questi motivi, argomentando che il cambio di destinazione di una porzione della medesima unità immobiliare, da commerciale a residenziale, se non comporta opere edilizie, non necessita di permesso di costruire ma si sostanzia in interventi di edilizia libera, in base alla modifica all’articolo 23-ter, commi 1 ter e 1 quater TUE. In queste ipotesi, il cambio può essere effettuato previa segnalazione certificata di inizio attività (Scia) o altro strumento di comunicazione.
Il cambio di destinazione d’uso dopo l’introduzione del Salva Casa
In virtù della recente modifica normativa sono quindi sempre ammessi i cambi di destinazione di una singola unità immobiliare tra le categorie funzionali “a” (residenziale) e “c” (commerciale) e viceversa. Nel caso in esame, il cambio attiene a una porzione di un’unità immobiliare e, per questa ipotesi, è sempre consentito, ferma restando la possibilità per gli strumenti urbanistici comunali di fissare specifiche condizioni, inclusa la finalizzazione del mutamento alla forma di utilizzo dell’unità immobiliare conforme a quella prevalente nelle altre unità immobiliari presenti nell’immobile.
La possibilità di realizzare, all’interno della medesima unità immobiliare, a date condizioni, cambi di destinazione d’uso anche da commerciale a residenziale e viceversa, senza necessità di ottenere permesso di costruire, rende illegittima la richiesta del Comune di ripristinare lo stato dei luoghi e chiedere il permesso di costruire, non più richiesto dalla normativa vigente.
La nuova disciplina, infatti, non contempla nemmeno la necessità del permesso di costruire ove il cambio di destinazione d’uso avvenga mediante opere riconducibili all’ambito dell’edilizia libera, come nel caso in esame, dove la modifica della destinazione d’uso non ha prodotto né ampliamenti né opere tali da necessitare del permesso di costruire. Il Comune non ha tenuto conto di queste modifiche normative, determinando così l’illegittimità dell’ordinanza impugnata.