Armadio e ripostiglio in legno: quando rientrano nel regime di edilizia libera?
La vicenda trae origine da un caso concreto affrontato di recente dal Tar Lazio che, con la sentenza n. 6241 del 14 aprile 2023, ha chiarito in maniera semplice ma efficace in quali casi dei manufatti in legno di modeste dimensioni, pur realizzati in prossimità del muro perimetrale di un fabbricato, possono essere ricondotti nell’alveo dell’edilizia libera, con le conseguenza del caso in tema di titoli abilitativi (non richiesti).
I fatti
Con determina dirigenziale del 2015, Roma Capitale aveva ingiunto al proprietario di un appartamento, circondato da un’area giardino pertinenziale in parte piastrellata, la rimozione o la demolizione di due piccole costruzioni in legno, qualificate dalla pubblica amministrazione procedente come di ristrutturazione edilizia pesante, consistenti, rispettivamente:
1) in un manufatto a ridosso del muro del fabbricato, adibito a magazzino;
2) in un ripostiglio del medesimo materiale, anch’esso di ridotte dimensioni, edificato in aderenza al muro dell’edificio, entrambe poggiate sul pavimento (e non infisse stabilmente nel suolo).
Per tutti e due i manufatti, l’ufficio tecnico di Roma Capitale lamentava la mancanza di adeguato titolo abilitativo, data la natura degli interventi, oltre che l’assenza della specifica autorizzazione amministrativa necessaria, in quanto la zona edificatoria sarebbe stata ricompresa in quelle di notevole interesse pubblico, e, come tale, sottoposta ai vincoli derivanti dal Decreto legislativo 42/2014. Avverso tale determina, proponeva ricorso l’intimato, chiedendone l’annullamento.
La decisione del Tar Lazio
Il giudice amministrativo, con una stringata quanto esplicativa pronuncia, ha integralmente accolto le conclusioni del ricorrente, il quale aveva evidenziato l’errore di qualificazione in cui era incorso l’ente pubblico, atteso che le opere in contestazione, lungi dal poter essere considerate come interventi di ristrutturazione pesante, incidenti sull’aspetto dell’immobile nel suo complesso, per le particolari caratteristiche strutturali, dovevano, piuttosto, essere ricondotte nell’ambito del regime dell’edilizia libera, e, come tali, non necessitanti di permessi edificatori o autorizzazioni di sorta.
Il Tar Lazio, infatti, ha evidenziato che i due manufatti non costituiscono volumi edilizi rilevanti o, comunque, tali da alterare il prospetto o la sagoma del fabbricato, concretizzandosi, piuttosto, in strutture precarie d’arredo, o comunque di natura pertinenziale, con conseguente insussistenza dei presupposti per la demolizione, non trattandosi di opere soggette al previo rilascio di titoli edilizi.
Si tratta, dunque, ad avviso del Collegio, di strutture assentibili in edilizia libera, ai sensi dell’articolo 6 del DPR 380/2001 e detto assunto, non adeguatamente confutato dall’amministrazione pubblica all’esito dell’istruttoria condotta, risulta confermato in maniera inconfutabile da alcuni dati fattuali ben precisi:
- la destinazione funzionale degli immobili a mero deposito per attrezzi di varia natura, con esclusione della permanenza umana, sia pure limitata e saltuaria ;
- la mancanza di servizi igienici e di collegamenti alla rete idrica ed elettrica;
- le dimensioni estremamente ridotte di ambedue i manufatti, entrambi poggianti sul pavimento per gravità e senza alcuna infissione nel terreno, con assenza di opere di fondazione o di pavimentazione del piano di calpestio.
L’irrilevanza dell’eventuale vincolo nella zona edificatoria
Sulla scorta di tali premesse, osserva il Tar, essendo incontestabile la riconducibilità dei due piccoli ambienti pertinenziali nell’alveo dell’edilizia libera, non c’è necessità di procedere ad ulteriori approfondimenti circa l’eventuale inclusione dei manufatti entro l’area soggetta a vincolo paesaggistico, che parte ricorrente peraltro nega con argomenti non contraddetti dall’Amministrazione e che, pertanto, richiederebbero una specifica istruttoria che, ove ad essa dovesse darsi corso, non modificherebbe comunque, correggendolo, l’errore in cui è incorsa Roma Capitale nell’inquadramento giuridico delle fattispecie.
Ricorso accolto, dunque, con conseguente annullamento degli atti impugnati e condanna alle spese di lite a carico dell’ente, incauto resistente.

