Edilizia

Tante piccole difformità fanno un abuso edilizio

Ci vuole il permesso di costruire se da modifiche parziali deriva un manufatto con significativo impatto volumetrico e possibile utilizzo autonomo dei nuovi spazi
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Tante piccole difformità fanno un abuso edilizio

Tante “piccole difformità” fanno un abuso edilizio. Questo in sintesi estrema quanto affermato dal Consiglio di Stato, nella sentenza n. 7010 dell’11 agosto 2025. Il caso trattato riguarda l’appello contro un’ordinanza comunale che ingiungeva la demolizione di una serie di interventi eseguiti in difformità del permesso di costruire, con ripristino dello stato dei luoghi.

Abuso edilizio da piccole difformità: l’ordinanza e l’appello

Gli appellanti, proprietari dell’immobile sul quale insistevano gli abusi edilizi, lamentavano che il Tar avrebbe “del tutto obliato l’esame nel merito delle censure del ricorso introduttivo […] sia con riferimento alla domanda di condono e alla consistenza dell’immobile sanato, sia alle problematiche correlate all’eventuale ripristino dello stato dei luoghi”.

In particolare, le “piccole modifiche al primo piano e al piano terra, insuscettibili di autonomo utilizzo” avrebbero, infatti, a loro dire, avuto “certamente natura pertinenziale sotto il profilo urbanistico, rispetto a quelle assentite con il permesso di costruire, rappresentando eventualmente solo parziali difformità” da tale titolo e potendo condurre all’irrogazione, al massimo, di una semplice sanzione pecuniaria. In rapporto alla realizzazione del secondo piano, poi, tale porzione di fabbricato era compresa nel titolo in sanatoria successivamente rilasciato.

Il Consiglio di Stato ha respinto tali motivi, poiché le difformità rilevate dall’Amministrazione comunale sull’immobile rispetto a quanto previsto dal permesso di costruire risultavano tutt’altro che marginali, dando origine, soprattutto se complessivamente considerate, ad un intervento edilizio totalmente diverso ed autonomo rispetto a quello autorizzato.

Che cosa rende legittimo l’ordine di demolizione

L’ordine di demolizione era quindi legittimo, perché teso a sanzionare non singole e modeste modifiche rispetto al titolo ottenuto dai ricorrenti, ma la creazione di diversi locali comunicanti, tra i quali due tavernette al piano seminterrato, due verande al primo piano, una sul lato sud e l’altra su di un tratto di balcone sul lato est, una sopraelevazione dell’intera superficie del sottostante fabbricato al secondo piano, in luogo del terrazzo di copertura, e una tettoia in struttura metallica di 3,30 m x4,40 m al piano terra.

Tutti i suddetti interventi compongono un manufatto a destinazione stabile, costituente una struttura permanente, che assume i caratteri propri delle opere da assentire con previo permesso di costruire. Il risultato di tali modifiche non ha natura meramente pertinenziale in senso urbanistico per le rilevanti dimensioni che lo contraddistinguono, per il significativo impatto volumetrico e per la possibilità di utilizzo autonomo degli spazi così ricavati.

Non sono le piccole difformità a rendere tale l’abuso edilizio

Su questo punto, la sentenza ribadisce il costante principio affermato dal Consiglio di Stato secondo il quale “la valutazione degli abusi contestati va fatta prendendo in considerazione una visione complessiva e non atomistica di quanto realizzato, non essendo consentito scomporre o frazionare i singoli interventi al fine di affermarne l’assoggettabilità a una diversa sanzione o la sanabilità, in quanto il pregiudizio arrecato al regolare assetto del territorio deriva non da ciascun intervento a sé stante bensì dall’insieme delle opere nel loro contestuale impatto edilizio e nelle reciproche interazioni”.

Correttamente, dunque, il Tar ha reputato abusivi gli interventi in questione. Essi, per essere legittimamente posti in essere, avrebbero infatti dovuto essere autorizzati con il permesso di costruire e, in mancanza di tale titolo, sono stati sanzionati con l’ordine di demolizione.

Sull’invocata sanatoria del secondo piano, la mancanza di qualsiasi prova ha determinato l’impossibilità per il giudice di primo grado di prendere in considerazione quanto affermato dai ricorrenti sul punto poiché, come sottolineato dalla costante giurisprudenza amministrativa, “è onere del ricorrente proprietario di manufatti abusivi dimostrare la legittimità delle opere o la loro conformità a quanto richiesto nella domanda di condono edilizio mediante adeguati documenti e prove. In assenza di tali elementi probatori, l’ordinanza di demolizione può legittimamente essere adottata dall’amministrazione anche a seguito del diniego di condono”.

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