Edilizia

Abuso edilizio, nessuna sanatoria se insiste in area vincolata

Corte di Cassazione: l'ordine di demolizione non riveste una funzione punitiva ma assolve a una funzione ripristinatoria del bene interesse tutelato e costituisce atto dovuto, espressivo di un potere autonomo e non meramente suppletivo del giudice penale
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Abuso edilizio, nessuna sanatoria se insiste in area vincolata
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 2282 del 20 gennaio 2021, ha ribadito che le nuove costruzioni in assenza di titolo abilitativo in zona vincolata non possono ottenere la sanatoria né tramite condono né per mezzo dell’accertamento di conformità. Inoltre, l’ordine di demolizione non contrasta con l’art. 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e delle libertà fondamentali (CEDU). In quanto, in tema di reati edilizi, non sussiste alcun diritto “assoluto” alla inviolabilità del domicilio, tale da precludere l’esecuzione dell’ordine di demolizione di un immobile abusivo, finalizzato a ristabilire l’ordine giuridico violato.

Ordine di demolizione di un abuso edilizio in attesa di condono

Con il ricorso in ultimo grado di giudizio, il proprietario di un immobile abusivo all’interno di un territorio soggetto a vincolo paesaggistico e ambientale, chiedeva la sospensione dell’ordinanza di demolizione emessa da un’amministrazione comunale, perché per l’abuso edilizio oggetto della procedura di demolizione era stata presentata una richiesta di condono edilizio in base alle disposizioni nazionali e alla legge regionale del Lazio n. 12/2004, la quale, nell’art. 9, regolamenta i criteri di messa in esecuzione per il recupero degli insediamenti edilizi abusivi sorti spontaneamente.

Il rispetto della vita familiare e della vita privata

Inoltre, il ricorrente si appellava all’art. 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), che vieta ingerenze arbitrarie dei pubblici poteri, salvo previsioni di legge o motivazioni per una delle esigenze imperative di carattere generale, nel quadro comunque di misure atte a garantire il rispetto effettivo della “vita familiare e della vita privata”. Tale motivo di ricorso era basato sull’affermazione del ricorrente, che avrebbe realizzato la costruzione abusiva per destinarla a sua unica residenza fin dalla sua costruzione, attivandosi poi per ottenere il condono anche sulla base della normativa regionale, il cui procedimento di variante speciale destinata al recupero territoriale, dopo 16 anni, non era ancora ultimato, impedendo quindi l’esame della suddetta richiesta di sanatoria. A sostegno di questa impegnativa tesi, veniva citata la decisione della Corte Europea per i Diritti dell’Uomo del 21 aprile 2016 nel caso Ivanova e Cherkezov c/Bulgaria, secondo cui il diritto all’abitazione di cui all’art. 8 della Convenzione richiede una valutazione di proporzionalità, da parte di un Tribunale imparziale, tra la misura della demolizione e l’interesse del singolo al rispetto del proprio domicilio.

L’abuso edilizio in zona vincolata non è condonabile

La Corte di Cassazione ha invece confermato quanto già espresso dal giudice dell’esecuzione, che aveva ritenuto determinante la non condonabilità dell’abuso edilizio in quanto insistente in zona vincolata, riconoscendo al giudice dell’esecuzione, in presenza di una domanda di sanatoria, un ampio potere-dovere di controllo sulla legittimità dell’atto concessorio sotto il duplice profilo della sussistenza dei presupposti per la sua emanazione e dei requisiti di forma e di sostanza richiesti dalla legge per il corretto esercizio del potere di rilascio. Con riferimento al condono edilizio introdotto con la legge 3262003, la sentenza conferma quindi che la realizzazione, in area assoggettata a vincolo paesaggistico, di nuove costruzioni in assenza di permesso di costruire e la insistenza dell’abuso edilizio da demolire escludono ogni possibilità di sanatoria, anche in base alla legge regionale del Lazio n. 12/2004.
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La legge del Lazio sulle varianti urbanistiche per il recupero degli abusi edilizi

L’art. 9 della legge regionale, infatti, riguardante l’adozione e l’approvazione di varianti agli strumenti urbanistici finalizzate al recupero urbanistico degli abusi, si riferisce agli insediamenti abusivi, con ciò intendendosi i nuclei di espansione di edilizia abitativa di una certa consistenza, cui si correla la difficoltà sociale di un ripristino generalizzato, e non alle situazioni di diffusione sul territorio rurale di piccoli abusi, ciò in quanto, la ratio della norma non è quella di imporre alle Regioni e alle Amministrazioni comunali, in sede di adozione e approvazione delle varianti generali agli strumenti urbanistici, l’obbligo di considerare gli insediamenti abusivi a fini del recupero, bensì quella di affiancare una speciale tipologia di variante a quelle già contemplate dall’ordinamento urbanistico, demandando alle Regioni la disciplina di dettaglio.

Non c’è un diritto assoluto a occupare un immobile anche se abusivo

Per quanto riguarda l’art. 8 CEDU, la Corte di Cassazione rileva che “non evidenzia alcun diritto assoluto ad occupare un immobile, anche se abusivo, solo perché casa familiare, con la conseguenza che l’esecuzione dell’ordine di demolizione di un manufatto abusivo, che afferma in concreto il diritto della collettività a rimuovere la lesione di un bene o interesse costituzionalmente tutelato ed a ripristinare l’equilibrio urbanistico-edilizio violato, non contrasta con il diritto al rispetto della vita privata e familiare e del domicilio tutelato dalla Convenzione. L’ordine di demolizione non riveste una funzione punitiva, quale elemento di pena da irrogare al colpevole, ma assolve a una funzione ripristinatoria del bene interesse tutelato e costituisce atto dovuto, espressivo di un potere autonomo e non meramente suppletivo del giudice penale. Nella sentenza della Corte Europea citata dal ricorrente, i giudici di Strasburgo hanno ribadito la conformità della demolizione alla Convenzione, allorquando, valutandone la compatibilità con il diritto alla abitazione, il suo unico scopo sia quello di garantire l’effettiva attuazione delle disposizioni normative che gli edifici non possono essere costruiti senza autorizzazione, fatto salvo il rispetto della proporzionalità della misura con la situazione personale dell’interessato. L’ordine di demolizione costituisce una misura che, in una società democratica, è necessaria “alla difesa dell’ordine” e alla promozione del “benessere economico del paese”.

Il principio di proporzionalità rispetto allo scopo della normativa edilizia

Il rispetto del principio di proporzionalità impone che l’autorità giudiziaria valuti caso per caso se un determinato provvedimento possa ritenersi giustificato in considerazione delle ragioni espresse dal destinatario della misura, al fine di bilanciare il suo diritto alla tutela dell’abitazione e l’interesse dello Stato ad impedire l’esecuzione di interventi edilizi in assenza di regolare titolo abilitativo, sicché deve essere il giudice a dover stabilire, tenuto conto delle circostanze del caso concreto dedotte dalle parti, se il provvedimento limitativo della libertà “reale” sia “proporzionato” rispetto allo scopo, riconosciuto peraltro legittimo dalla Corte EDU, che la normativa edilizia intende perseguire. Tanto più che, nel caso in esame, la particella ove insistono le opere abusive era stata oggetto di divisione e l’istanza di condono era stata presentata da un soggetto diverso dal ricorrente, quindi non risulta dimostrato l’asserito stato di necessità posto a fondamento dell’abuso edilizio, che risulta realizzato diversi anni prima rispetto al momento in cui il ricorrente vi sarebbe andato ad abitare. La Corte di Cassazione ha quindi dichiarato inammissibile il ricorso.
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