Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, con la
sentenza n. 12785 del 1° dicembre 2020, interviene sulla procedura per l’applicazione di una sanzione amministrativa, nel caso di
interventi e opere realizzati in parziale difformità dal permesso di costruire, quando la demolizione non può avvenire senza pregiudizio della parte eseguita in conformità (art. 34, comma 2 del Dpr. n. 380/2001 (
Testo Unico Edilizia, Tue).
Tale possibilità, spesso oggetto di dubbi applicativi, “deve essere
valutata dall’Amministrazione competente nella fase esecutiva del procedimento, successiva ed autonoma rispetto all’ordine di demolizione. Il dato testuale della legge è univoco ed insuperabile, in coerenza col principio per il quale, accertato l’abuso, si emette l’ordine di demolizione ” (Consiglio di Stato, n. 5128 del 31 agosto 2018).
Il fatto: interventi senza autorizzazione su immobile nel centro storico
I proprietari di un immobile sito in centro storico avevano proposto ricorso contro un’amministrazione comunale contro l’
ordinanza di demolizione di alcuni interventi edilizi. Ovvero: copertura di un cortile interno del fabbricato, modifica di uso di una soffitta da “deposito” ad “abitazione”, realizzazione di una scala interna, di un solaio e di una terrazza, oltre ad un soppalco. Interventi ritenuti abusivi, in quanto realizzati senza autorizzazione.
I ricorrenti sostenevano in primis che l’amministrazione, prima di emettere il provvedimento, avrebbe dovuto
analizzare e definire le domande di condono; in secondo luogo, che la stessa amministrazione, prima di ordinare la demolizione, avrebbe dovuto
valutare meglio l’impossibilità di ripristino dei luoghi, anche richiedendo il parere della Sovrintendenza.
La sentenza: l’alternativa pecuniaria alla demolizione si valuta in fase esecutiva
Sul primo motivo, il Tar Lazio ritiene che sarebbe fondato solo se, l’amministrazione avesse
già avviato un procedimento di condono e se le opere edilizie per le quali si è chiesta la sanatoria,
non fossero state arbitrariamente modificate. Come invece è stato dimostrato nel caso di specie, confrontando le differenze riscontrate dall’ufficio tecnico tra i progetti presentati per le varie richieste di condono e quelli effettivamente realizzati.
Su secondo motivo, “la possibilità di sostituire la demolizione con la sanzione pecuniaria si valuta
in un secondo momento, successivo ed autonomo rispetto alla diffida a demolire ossia quando il soggetto privato non ha ottemperato spontaneamente alla demolizione”. Per questo “l’esito negativo ovvero eventualmente superficiale di tale valutazione
non può costituire un vizio dell’ordine di demolizione, ma al più della fase di esecuzione in danno”. In fase esecutiva dell’ordinanza di demolizione, il comune dovrà verificare le conseguenze di questo provvedimento. E quindi decidere se comminare in alternativa una sanzione pecuniaria.
Sul fatto che l’amministrazione comunale non avesse richiesto il
parere della Sovrintendenza, risulta che una richiesta da parte del comune c’era stata, ma era rimasta senza risposta. Per questo, secondo l’articolo 33, comma 4, Tue “qualora non arrivi il parere
entro novanta giorni dalla richiesta il dirigente o il responsabile provvede autonomamente”.
Mutamento d’uso e carico urbanistico
Gli interventi nella soffitta, per trasformarla da “deposito” ad “abitazione”, sono per i giudici un’attività edilizia che “ha determinato un
mutamento della destinazione d’uso del precedente locale deposito. E che, come tale, la pubblica amministrazione ha correttamente sanzionato con l’ingiunzione di ripristino dello stato dei luoghi”.
La giurisprudenza concorda che il mutamento della destinazione d’uso “
legittima l’esercizio del potere sanzionatorio di natura demolitoria tutte le volte in cui lo stesso generi una variazione degli standard urbanistici. Nel caso in esame, appare chiaro che la trasformazione di un mero deposito in locali abitabili e praticabili, sia pure intervenuta mediante l’installazione degli impianti necessari, “determini un evidente
aggravio del carico urbanistico già valutato ed assentito dall’ente locale in sede di rilascio dei titoli edilizi originari”.
In base a tali argomentazioni, il Tar ha respinto il ricorso.