Edilizia

Abusi edilizi, come motivare la demolizione

Consiglio di Stato sugli abusi edilizi: ecco quando l'onere della prova contraria è dell'amministrazione. È sufficiente descrivere l'intervento abusivo?
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Abusi edilizi, come motivare la demolizione

Il Consiglio di Stato interviene sul tema degli abusi edilizi con la sentenza n. 4397 del 26 giugno 2019 . È il caso di un proprietario di un immobile, che aveva ottenuto l’autorizzazione alla realizzazione di lavori di restauro e risanamento del preesistente fabbricato rurale con formazione di tre unità abitative autonome. Alcuni lavori erano stati realizzati in parziale difformità dai titoli abilitativi e, dopo l’alienazione delle unità immobiliari, i nuovi proprietari avevano presentato istanza di condono in base alla Legge 326/2003 (terzo condono).

Abusi edilizi e ordine di demolizione

Il Comune, prima che fossero definite le istanze di condono, aveva emesso l’ordine di demolizione. I proprietari avevano impugnato l’atto, in quanto non descriveva gli abusi in modo dettagliato. Il Consiglio di Stato ha dato ragione al Comune, poiché “l’atto che ordina l’eliminazione delle opere realizzate può ritenersi sufficientemente motivato per effetto della stessa descrizione dell’abuso accertato, presupposto giustificativo necessario e sufficiente a fondare l’emanazione della misura sanzionatoria della demolizione”.

Il fatto

Con l’appello in esame una società, originaria proprietaria di un appezzamento di terreno di 40.000 mq, impugnava la sentenza del Tar Napoli. Il tribunale amministrativo aveva respinto la richiesta di annullamento dell’ordinanza. Il provvedimento ordinava alla ricorrente la demolizione delle opere abusive effettuate dopo aver ottenuto l’autorizzazione alla realizzazione di lavori di restauro. Inoltre richiedeva il risanamento di un fabbricato rurale preesistente, con formazione di tre unità abitative autonome, successivamente alienate.

I nuovi proprietari, essendo stati realizzati lavori in parziale difformità dalla predetta concessione edilizia, presentavano due istanze di condono in base alla legge n. 326 del 2003 (cd. terzo condono). Pendenti tali istanze di condono, il Comune adottava l’ordine di demolizione in contestazione. Questo per le seguenti opere, aderenti ad un preesistente corpo di fabbrica:

  • chiusura con muratura perimetrale completo di copertura di un pergolato di mq 28,50 per 2,55 di altezza;
  • in sostituzione di un patio scoperto, manufatto di solo piano terra di mq 118 x 2,75 di altezza media;
  • manufatto di solo piano terra di mq 40 x 2,30 di altezza, previo sbancamento dell’area scoperta compresa tra il fabbricato preesistente ed il muro di contenimento.

Abusi edilizi: nesso di responsabilità e l’onere della prova

La sentenza interviene anche sulla responsabilità dell’abuso. In linea generale spetta al responsabile l’onere di provare la data di realizzazione e la consistenza originaria dell’immobile abusivo. Questo perché solo l’interessato può fornire inconfutabili atti, documenti ed elementi probatori che possano radicare la ragionevole certezza dell’epoca di realizzazione di un manufatto. Ma, se come in questo caso, il diretto interessato fornisce elementi di prova in tal senso, l’onere della prova contraria viene trasferito in capo all’amministrazione.

Nel caso di specie, la parte appellante ha fornito documentazione attestante la consistenza dell’immobile all’epoca della vendita. Atti che confermano quella posta a fondamento delle domande di condono, cioè atto pubblico di vendita e dichiarazione sostitutiva di notorietà con descrizione delle opere abusivamente edificate. Da tali atti emergono elementi di prova circa il fatto che l’opera in contestazione sia stata realizzata in epoca successiva alla vendita.

In linea generale, il presupposto per l’adozione di un’ordinanza di ripristino non è l’accertamento di responsabilità nella commissione dell’illecito. Bensì l’esistenza di una situazione dei luoghi contrastante con quella prevista nella strumentazione urbanistico-edilizia. Sicché sia il soggetto che abbia la titolarità a eseguire l’ordine ripristinatorio, sia il responsabile dell’abuso sono destinatari della sanzione reale del ripristino dei luoghi e, quindi, legittimati attivi all’impugnazione della sanzione.

La succedaneità

D’altra parte, l’acquirente dell’immobile abusivo o del sedime di realizzazione, succede in tutti i rapporti giuridici attivi e passivi relativi al bene ceduto facenti capo al precedente proprietario. In questi è compresa l’abusiva trasformazione, subendo gli effetti sia del diniego di sanatoria, sia dell’ingiunzione di demolizione successivamente impartita, pur essendo l’abuso commesso prima del passaggio di proprietà.

L’accertamento comunale, posto a base del provvedimento impugnato, è basato sulla mera presunzione di responsabilità. Questa deriva dalla pregressa titolarità, senza alcun elemento istruttorio specifico ed in assenza della necessaria contraria valutazione degli elementi di prova forniti. Per questo il Consiglio di Stato ha riconosciuto l’estraneità della società appellante quale destinataria del provvedimento sanzionatorio in contestazione.

La motivazione dell’ordinanza di demolizione

L’atto che ordina l’eliminazione delle opere realizzate, si legge nella sentenza, oltre a sanzionare l’abuso contestato, può ritenersi sufficientemente motivato per effetto della stessa descrizione dell’abuso accertato. Questo è il presupposto giustificativo necessario e sufficiente a fondare l’emanazione della misura sanzionatoria della demolizione. Atteso che l’esercizio del potere repressivo degli abusi edilizi mediante applicazione della misura ripristinatoria costituisce atto dovuto, per il quale è nella cosa stessa l’interesse pubblico alla sua rimozione.

In pendenza di un procedimento di condono edilizio, possono essere al più effettuati interventi finalizzati a garantire la conservazione del manufatto. Purché gli stessi non modifichino le caratteristiche essenziali e la destinazione d’uso dell’immobile, come avvenuto nel caso in esame con palese ampliamento del manufatto in contestazione (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, n. 5248 del 6 settembre 2018).

L’individuazione dell’area di sedime, da acquisire al patrimonio comunale, non deve necessariamente farsi nel provvedimento che impartisce l’ordine, ben potendo essere effettuata successivamente mediante il provvedimento in cui viene accertata l’inottemperanza all’ordine impartito (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, n. 339 del 14 gennaio 2019).

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