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Quando il “grave illecito professionale” è causa di esclusione da un appalto

L’inadempimento deve risultare da intervenuta risoluzione di un contratto precedente, condanna a risarcimento danni o altre conseguenze comparabili
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Quando il “grave illecito professionale” è causa di esclusione da un appalto

Sul tema del grave illecito professionale, quale causa di esclusione da una gara d’appalto, in applicazione dell’articolo 98 dlg n. 36 del 31 marzo 2023, interviene il Tar Campania (Sez. V), con la sentenza n. 6458 del 29 settembre 2025, nella quale accoglie il ricorso di una società contro l’esclusione dalla gara per l’affidamento in concessione del servizio di ristoro mediante distribuzione automatica nelle sedi di una università, di cui già era stata titolare per un lungo periodo, a motivo di una vicenda occorsa nell’emergenza COVID-19. All’epoca, infatti, l’amministrazione sospese il pagamento del relativo canone di concessione durante il cd. lockdown.

Il caso: la revisione dei conti e la mancata trattativa

La società ricorrente aveva chiesto di procedere a “riequilibrio delle condizioni di redditività della gestione” in base all’articolo 28-bis del decreto-legge n. 34 del 19 maggio 2020, convertito in legge, con modificazioni, dalla legge n. 77 del 17 luglio 2020, secondo cui “in caso di contratti di appalto e di concessione che prevedono la corresponsione di un canone a favore dell’appaltante o del concedente e che hanno come oggetto il servizio di somministrazione di alimenti e bevande mediante distributori automatici presso le università, qualora i relativi dati trasmessi all’Agenzia delle entrate mostrino un calo del fatturato conseguito dal concessionario per i singoli mesi interessati dall’emergenza epidemiologica da COVID-19 superiore al 33 per cento, le amministrazioni concedenti attivano la procedura di revisione del piano economico finanziario”.

La trattativa tra la società ricorrente e l’università portava alla sospensione del pagamento del canone concessorio per un anno, quindi alla sua riduzione del 50%, e infine al pagamento del canone a misura intera in due rate, fino alla scadenza del contratto. La società ricorrente non eseguiva il pagamento della prima rata, affermando di trovarsi in una situazione di difficoltà finanziaria temporanea, tale da non poter consentire il pagamento in due soluzioni, e chiedeva una dilazione di 12 rate mensili, riconoscendo il proprio debito e rinunciando a qualsiasi contestazione in merito.

Nonostante l’intimazione dell’università di pagare l’intero credito nel termine di 15 giorni, la società ricorrente eseguiva un pagamento di una somma corrispondente alla prima rata del piano di rateazione che essa aveva proposto e che l’Università aveva rifiutato. Seguivano pagamenti di uguale importo, a fronte dei quali l’università evidenziava che “i pagamenti effettuati dalla Società non trovano fondamento su alcun piano di rateizzo autorizzato dall’Ateneo”.

L’esclusione dalla gara per “illecito professionale grave”

Si arriva così alla gara per l’affidamento in concessione del servizio, nel frattempo scaduto. La società ricorrente presentava istanza di partecipazione alla gara, ma ne era esclusa proprio a causa della vicenda sopra descritta, che per la commissione di gara configurava “un illecito professionale grave, tale da rendere dubbia la sua [della Società ricorrente, ndr.] integrità o affidabilità, per essere titolare di un debito nei confronti dell’ateneo e non aver eseguito i pagamenti nei termini e secondo le modalità stabilite dall’Amministrazione, procedendo in modo del tutto arbitrario, in assenza di qualsivoglia fondamento giuridico e/o convenzionale legittimante pagamenti parziali”, nonostante l’esplicito diniego, da parte dell’ateneo, al piano di rateizzo e le ripetute diffide.

La società ricorreva contro l’esclusione, sostenendo che non vi fosse alcun grave illecito professionale in quanto il preteso inadempimento non era grave né idoneo a inficiare il rapporto fiduciario con l’università, considerato che il rapporto contrattuale in questione aveva avuto lunghissima durata e che la società per lungo tempo aveva correttamente adempiuto ai suoi obblighi. Inoltre, prima dell’esclusione, non si era provveduto all’instaurazione del contraddittorio.

La prova del grave illecito professionale e la sua contestazione

In particolare, l’inadempimento contestato, secondo la ricorrente, non era riconducibile alla previsione della lettera c) dell’articolo 98 (“condotta dell’operatore economico che abbia dimostrato significative o persistenti carenze nell’esecuzione di un precedente contratto di appalto o di concessione che ne hanno causato la risoluzione per inadempimento oppure la condanna al risarcimento del danno o altre sanzioni comparabili, derivanti da inadempienze particolarmente gravi o la cui ripetizione sia indice di una persistente carenza professionale”) dato che la stazione appaltante non aveva azionato alcuno dei procedimenti previsti dalla norma citata.

Infatti, la prova dell’illecito è costituita proprio dalla intervenuta risoluzione per inadempimento o dalla condanna al risarcimento del danno. In ogni caso, la motivazione della valutazione in merito alla gravità dell’inadempimento non teneva in alcun conto le circostanze del caso concreto né il comportamento comunque tenuto dalla ricorrente. L’impegno a versare le somme richieste con una rateizzazione di dodici mesi comprendente anche il ristoro del danno e, quindi, pari agli interessi di mora, dimostrava che la società aveva risarcito o si era impegnata a risarcire qualunque danno causato dal reato o dall’illecito, e pertanto non poteva essere esclusa dalla gara per grave illecito professionale.

La decisione del Tar Campania

Il Tar Campania ha ritenuto fondati questi motivi di ricorso, ritenendo evidente che “il comportamento addebitato alla ricorrente non soddisfi le condizioni richieste dagli articoli 95 e 98 dlg. n. 36; e infatti il preteso contestato inadempimento – che comunque si colloca nel quadro di una non riuscita trattativa avente a oggetto la revisione del contratto per l’alterazione del suo equilibrio determinato dall’emergenza COVID-19 – non risulta da intervenuta risoluzione del contratto per inadempimento né da condanna al risarcimento dei danni o ad altre conseguenze comparabili; quindi non è integrata oggettivamente alcuna delle fattispecie previste della lettera c) del comma 2 dell’articolo 98”.

Il riconoscimento del debito da parte della ricorrente si inseriva in un contesto di tipo negoziale, cioè in una proposta di definizione del rapporto che implicava l’accettazione del piano di rateazione del debito; non essendo stata accolta la proposta, non può sostenersi che essa avesse riconosciuto il debito nella misura determinata dal creditore, così rendendosi incontestabilmente e persistentemente inadempiente ai suoi obblighi; ciò è coerente con l’istituto della revisione del contratto, che prevede una negoziazione tra le parti. In ogni caso, non risulta integrata l’ipotesi della lettera c) del comma 2 dell’articolo 98 e ciò rende illegittima l’esclusione impugnata che va quindi annullata”.

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