Compliance

Corporate Social Responsability come strategia vincente per fare impresa

Come nasce e come giova alla competitività di un’impresa la Csr? Ce lo spiega Giacomo Ghidelli, autore dell’eBook sul tema della Responsabilità sociale d’impresa
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Corporate Social Responsability come strategia vincente per fare impresa
Fare impresa, competitività e responsabilità sono elementi strettamente legati. Il tema della Corporate Social Responsability ha un respiro ampio che coinvolge anche l’etica. Ma cosa significa Responsabilità Sociale d’impresa, perché è importante parlarne adesso e come si applica questa visione strategica aziendale? Ne abbiamo parlato con Giacomo Ghidelli, autore dell’e Book “Corporate Social Responsability. Diciamola tutta.” , quarto volume della collana editoriale tecnica Compliance, edito da Wolters Kluwer e disponibile su shop.wki. Per consultare e scaricare alcuni estratti clicca sul box qui sotto  

Come nasce la Corporate Social Responsibility e quando viene riconosciuto il valore di questo aspetto in ambito lavorativo?

La Csr nasce dalla volontà dell’imprenditore e deve invadere tutta l’impresa. La Csr è quindi un processo che va dall’alto al basso e che porta in primo piano la responsabilità personale di chi opera nell’impresa. E questo perché la Csr è una visione strategica che deve essere condivisa e che include negli obiettivi di business le buone relazioni con gli stakeholder. Buone relazioni nate dalle soluzioni che l’impresa mette a punto in quanto soggetto attivo nella società. Per quanto riguarda il valore, sono ormai molte le ricerche che mostrano come la Csr produca benefici effetti sui bilanci e sull’immagine delle imprese che la praticano.

Quali e quanti aspetti del panorama aziendale coinvolge? Fra questi c’è una scala d’importanza?

Nascendo come visione strategica, la Csr deve coinvolgere tutta l’impresa. La scala d’importanza delle azioni deriva dal momento che vive l’impresa. C’è chi parte da azioni per i dipendenti e chi da interventi sulla filiera. Un aiuto a definire le priorità può venire, come scrivo, dall’impiego della matrice SWOT (analisi dei punti di forza e di debolezza, delle minacce e delle opportunità). Andando dal generale al particolare si perviene a una conoscenza approfondita dell’impresa, da cui partire con percorsi di Csr capaci di trasformare situazioni negative in opportunità.

Perché oggi è importante parlarne e dedicare una pubblicazione a questo tema?

È come per il clima: è importante parlarne perché i cambiamenti avvengono. E della Csr è importante parlarne perché le persone sono sempre più attente alle azioni responsabili o irresponsabili delle imprese. E sovente ne traggono le conseguenze. Due anni fa, una ricerca sulle attese degli studenti di master e università di tutto il mondo diceva che il 92,1% di questi giovani metteva tra criteri di scelta del lavoro futuro, lavorare per un’azienda responsabile. Inoltre, più del 50% di questi futuri qualificati dipendenti era disposto a rinunciare al 20% dello stipendio pur di lavorare in un’impresa orientata alla Csr. Però sono molte le PMI ferme ai nastri di partenza. Ed è soprattutto a loro che questo ebook è dedicato: un aiuto a capire cosa fare in un mondo che cambia a ritmi elevati.

In uno scenario come il nostro in cui apparire spesso vale più che essere, il Greenwashing vede una grande diffusione, soprattutto in realtà industriali e aziendali molto grandi. Secondo lei paga fare Greenwashing?

Può pagare finché non ci si accorge che si tratta di Greenwashing. Ma quando diventa evidente sono guai. Cito due casi di scuola: 1) dopo la scoperta che in India e in Pakistan la Nike impiega lavoro minorile, in cinque mesi le sue azioni precipitano da 66 a 39 dollari, per tacere dei milioni di dollari spesi per attivare un controllo responsabile della filiera; 2) in seguito al cosiddetto “dieselgate”, le azioni Volkswagen persero in breve tempo più del 35% del loro valore; a cui si devono aggiungere i costi per i richiami delle vetture. Però in molti casi chi fa Greenwasching lo fa perché cade in tranelli comunicativi. Per questo l’ebook offre alcune semplici regole per difendersi da questa trappola di finto verde.

Quali figure, contemporanee o del passato, sono state una guida per lei nel suo lavoro che tanto a che fare con l’etica?

Certamente la figura di Adriano Olivetti, le cui scelte, come si capisce leggendo i suoi discorsi e le sue opere, non derivavano da buonismo (termine orribile frutto di incolta e ripetitiva pubblicistica), ma dalla consapevolezza delle proprie responsabilità in quanto imprenditore. Poi molti filosofi ed economisti, che ho studiato e continuo a studiare: due per tutti: Immanuel Kant e Mariana Mazzucato. E infine, se mi è consentito un riferimento privato, mio padre, semplice operario ma grande persona.

Quale consiglio si sentirebbe di dare a un giovane manager d’impresa?

Può sembrare pura réclame ma i consigli che potevo dare e che sono il frutto di 15 anni di lavoro in Csr li ho condensati nell’ebook. Se però ne dovessi indicare uno, partirei dall’inizio: rendersi conto che l’etica riguarda tutti noi, tutti i giorni. Perché è lì che si gioca il rapporto con le altre persone, con le altre organizzazioni.

Potrebbe sintetizzare la problematica “tra il dire e il fare”? Cosa rende difficile a volte mettere in pratica i buoni propositi, se così possiamo definirli?

La Csr deve essere il frutto di una precisa strategia aziendale. Che può essere corretta e affinata, ma è nella sua mancanza la ragione di sbandamenti e ripensamenti: un muoversi a tentoni che non fa certamente bene all’impresa e ai suoi stakeholder.

Qual è il punto di maggior forza del suo volume?

Spero sia nella struttura. Che parte, dopo quattro passi nell’etica, dal definire cos’è la Csr; ne traccia la storia e, dopo aver analizzato i portatori di interesse, fornisce una metodologia che aiuta a scegliere il proprio cammino, indicando possibili ambiti di intervento. Dedico poi un capitolo alla comunicazione, dove sostengo che non ci deve essere separazione tra il dire e il fare. La Csr si sviluppa coinvolgendo gli stakeholder, siano essi dipendenti, fornitori o clienti. E non c’è coinvolgimento senza comunicazione. Quindi non c’è Csr senza comunicazione. L’ebook è concluso da oltre 20 case history e da 7 interviste che mostrano dal vivo come la Csr sia vantaggiosa.

Come dialoga il suo ebook con il resto della collana compliance? Qual è la connessione con il tema compliance?

Presentando la collana, i curatori hanno affermato che questi sono “ebook da cui estrarre le più attuali procedure per organizzare l’azienda, per tutelare i suoi beni, per prevenire reati nascosti, per consentirle di vincere in un mercato competitivo”. A questo quadro la Csr dà il proprio contributo. D’altra parte, come è stato detto, la compliance conviene. Esattamente come la Csr.
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