Venezia e l’acqua alta: rischi, danni e strategie per il futuro

L’acqua alta straordinaria del 12 novembre 2019 ha colpito Venezia sommergendo circa il 90% del centro storico e causando gravi danni a quasi tutte le attività commerciali. Le emittenti televisive, i principali quotidiani e le agenzie di stampa hanno dato un grandissimo risalto alla notizia. Numerose le sottoscrizioni che in poche ore hanno raccolto cifre consistenti per aiutare i veneziani a riparare i danni, stimabili in diverse decine (se non centinaia) di milioni di euro.
Quest’eccezionale attenzione mediatica non deve ovviamente stupire, perché Venezia è un vero e proprio concentrato d’arte e architettura in una cornice paesaggistica unica al mondo. È famosa a livello globale da ormai due secoli, viene regolarmente visitata da milioni di turisti e ha ispirato generazioni di scrittori, artisti e architetti. Persino John Ruskin, considerato uno dei padri fondatori del restauro modernamente inteso, dopo averla visitata a metà dell’800 vi dedico un’intera opera in tre volumi.
Un’acqua (sempre più) alta
Si è però trattato di un evento del tutto eccezionale, la seconda alta marea mai registrata dal 1872. Cioè da quando il livello del mare viene registrato quotidianamente. La prima – la più alta in assoluto con un livello di +194 cm e nota ai veneziani come l’“acqua granda” – si verificò il 4 novembre 1966, lo stesso giorno dell’alluvione di Firenze.
Tuttavia la storia di Venezia è piena di testimonianze di acque alte eccezionali.
La più antica, dello storico bizantino Paolo Diacono, riguarda la cosiddetta Rotta della Cucca avvenuta il 17 ottobre 589. Molto interessante è anche un quadro del 1825 dal significativo titolo “Piazza San Marco allagata”, che mostra proprio questo luogo solcato da numerose gondole di veneziani.
Questi eventi sono dovuti a una serie di concause che per fortuna si verificano assai di rado. Si tratta di precipitazioni eccezionali unite a un forte vento di bora o di scirocco che, sospingendo l’acqua all’interno della laguna, ne ostacola il deflusso in mare aperto.
Subsidenza, fenomeno da gestire non solo a Venezia
L’acqua alta è però un fenomeno comune, che chi abita a Venezia sa come gestire. Tutti i negozi dispongono infatti di pompe per aspirare l’acqua e di paratie da collocare davanti alle porte di ingresso. Mentre il Comune ha allestito un sistema di preavviso per i cittadini e predispone delle passerelle che garantiscono alcuni passaggi asciutti nei punti più affollati.
Tuttavia il livello di marea sta salendo. E i giorni di acqua alta aumentano progressivamente soprattutto a causa di due fenomeni dal nome complicato: l’eustatismo e la subsidenza.
Il primo è l’innalzamento o l’abbassamento del livello dei mari su scala globale dovuto ai cambiamenti climatici. Per Venezia è stato calcolato un innalzamento del livello medio di marea di circa 14 cm. Il secondo è invece un lento, progressivo e irreversibile abbassamento del terreno. Si tratta di un fenomeno che riguarda numerose altre città della pianura padana come Modena o Ravenna. Anche in questo caso è aggravato da alcune attività antropiche come l’estrazione di petrolio, gas naturale o acqua per l’irrigazione. Nel caso di Venezia la subsidenza risulta accentuata anche dagli antichi sistemi costruttivi locali. E in particolare dalle fondazioni degli edifici, costituite da imponenti palificate lignee collegate da tavoloni su cui si impostano le murature sovrastanti.
Dall’arte del passato i dati di riferimento
Esaminando alcune vedute del pittore Canaletto alcuni studiosi hanno stimato che l’attuale piano di campagna sia più basso di ben 130 centimetri rispetto alla metà del ‘700: a riprova di questo fatto possiamo constatare che gli ingressi di molti palazzi gentilizi con affaccio diretto sul canale, anticamente utilizzati per scaricare le merci o consentire ai residenti di spostarsi agevolmente in gondola, risultano oggi parzialmente sommersi (Foto 2 e 3).

Foto 2 – A riprova della grande subsidenza subita da Venezia negli ultimi secoli si noti che gli ingressi sul canale di questo antico palazzo gentilizio risultano oggi parzialmente sommerso

Foto 3 – A riprova della grande subsidenza subita da Venezia negli ultimi secoli si noti che sia il ponticello sul canale per il transito pedonale che l’ingresso “sul rio” di questa vecchia casa risultano oggi molto bassi sull’acqua o addirittura sommersi parzialmente
Poca manutenzione e troppa antropizzazione
Altri fattori che contribuiscono al fenomeno dell’acqua alta sono infine la mancanza di manutenzione dei canali. L’effetto diretto è la progressiva diminuzione della profondità a causa del deposito di sedimenti. Vi è inoltre la progressiva distruzione dell’antico ecosistema lagunare con alternanza di paludi, secche e banchi di sabbia che mitigavano gli effetti dell’alta marea. La creazione del polo industriale di Marghera e lo scavo di profondi canali come quello “dei petroli” per consentire il transito delle grandi navi ha perciò creato vere e proprie “corsie preferenziali” per l’afflusso di consistenti masse d’acqua in laguna.
Venezia, il mare e la contemporaneità, un rapporto complicato
Il rapporto tra Venezia e il mare risulta dunque assai complesso, perché il mare porta ricchezza ma causa gravi danni agli edifici.
Ma l’architettura veneziana può affrontare questa situazione? La risposta è sì, perché i sistemi costruttivi tradizionali – molto diversi da quelli delle città vicine – erano studiati proprio per l’ambiente lagunare. Gli intonaci veneziani presentano ad esempio un rinzaffo in malta di cocciopesto molto resistente all’umidità. È quindi particolarmente adatto a edifici perennemente immersi in acqua (Foto 4). Mentre i “terrazzi”, cioè gli inconfondibili pavimenti in seminato o pastellone, – monolitici, flessibili e impermeabili – hanno dato ottima prova di sé in secoli di uso ininterrotto.
La manutenzione delle murature
Anche le murature erano oggetto di una manutenzione attenta e costante, che si eseguiva mediante la ristilatura dei giunti di malta disgregati o polverizzati, la sostituzione dei mattoni degradati e – nei casi più gravi – perfino con il taglio per l’inserimento di lamine di piombo per bloccare l’umidità di risalita capillare. Si accettava anche il degrado, perché i nostri progenitori avevano capito che l’erosione delle zone basamentali delle murature non si poteva fermare, ma soltanto attenuare o mitigare con la sostituzione programmata degli intonaci.

Foto 4 – Gli intonaci tradizionali di Venezia, spesso con sottofondo o realizzati interamente con malta di cocciopesto, sono particolarmente resistenti all’umidità
Questo equilibrio secolare oggi si è spezzato soprattutto a causa delle condizioni socio-economiche attuali. Legate a un flusso turistico in continuo aumento e ormai sproporzionato alle reali capacità logistiche di una piccola città. Gli ultimi anni hanno dunque visto il progressivo spopolamento del centro storico, con conseguente diminuzione dei servizi ai cittadini, la trasformazione delle abitazioni in bed-and-breakfast e la rarefazione dei negozi di vicinato. Questo a sua volta provoca una minore attenzione alla qualità del costruito, visto come un mero investimento che deve fornire un ritorno economico positivo nel più breve tempo possibile.
I saperi artigianali nell’edilizia
A questo si somma un altro problema molto serio che riguarda tutta Italia. Si tratta dell’industrializzazione del cantiere edilizio con perdita dei saperi artigianali. Ovunque ai materiali e i sistemi costruttivi tradizionali si sostituiscono materiali industriali, più economici, veloci e semplici da utilizzare. Anche la manutenzione ordinaria e programmata viene spesso trascurata. Questo perché vista come un’operazione inutile e costosa. Il risultato è un aggravamento del degrado fisiologico degli edifici storici, a Venezia particolarmente accentuato.
Venezia 20 novembre 2019, un bilancio fra danni e prospettive
L’acqua alta del 12 novembre non ha perciò causato danni eccezionali, ma semplicemente aggravato sensibilmente alcuni fenomeni già in atto e perfettamente noti ai restauratori.
In un articolo de Il resto del Carlino del 20 novembre sono riportate alcune dichiarazioni del Procuratore di San Marco Pierpaolo Campostrini relative proprio ai danni dei giorni precedenti: “Il pavimento [della chiesa di San Marco] si è gonfiato in alcuni punti facendo staccare alcune tessere dei mosaici. Bisognerà restaurarlo, sollevandolo e ricomponendolo dopo aver rifatto il fondo. Non ci sarà una perdita perché le tessere sono state tutte recuperate e il disegno del mosaico è stato a suo tempo digitalizzato. Le basi delle colonne invece andranno sostituite. Danni sono visibili anche alla lastra di marmo al capitello del Crocifisso. Molto si vedrà quando tutto si asciugherà, perché il processo di corrosione del sale è lento ma inesorabile”.
I danni da umidità di risalita
Tuttavia non si tratta di corrosione vera e propria, ma degli effetti delle efflorescenze e sub-efflorescenze saline, i tipici danni normalmente causati dall’umidità di risalita capillare e dalle infiltrazioni d’acqua: in questo caso, poiché si tratta di acqua marina particolarmente ricca di sali, ci si aspetta efflorescenze particolarmente consistenti.
Esiste tuttavia una differenza fondamentale tra questi due degradi, perché le efflorescenze si manifestano in superficie, ne deturpano l’aspetto estetico ma risultano sostanzialmente innocue e facili da rimuovere, mentre le sub-efflorescenze si formano nelle soluzioni di continuità del materiale e sono spesso rovinose.

Foto 5 – Particolare di uno dei mosaici (probabilmente frutto di un rifacimento più recente ma ormai storicizzato) della pavimentazione della chiesa di San Marco

Foto 6 – Particolare della pavimentazione della chiesa di San Marco con un motivo a scacchiera formato dall’alternanza regolare di tessere a mosaico e piccoli tasselli in marmo
Sono infatti la causa diretta della formazione di sollevamenti e lacune nella pavimentazione della chiesa di San Marco, costituita da un tappeto di mosaici (Foto 5) e tarsie di marmo in stile bizantino (Foto 6) databile all’XI-XII secolo. Tuttavia, nel corso dei secoli la pavimentazione è stata sempre oggetto di rifacimenti e sostituzioni, dovuti soprattutto all’erosione da calpestio provocata dal massiccio afflusso di pellegrini e successivamente di turisti. Si calcola infatti che più di metà delle tessere musive e dei tasselli in marmo non siano originali, ma frutto di riparazioni ormai storicizzate.
L’acqua salata e i danni alle pietre di Venezia
Anche le pietre calcaree (marmo, calcare ammonitico, scaglia veneta e pietra d’Istria) tipiche dell’architettura veneziana risentono pesantemente dell’azione dell’acqua salata. Le sub-efflorescenze tendono infatti a formarsi nelle cavità e spaccature della roccia provocando fenomeni di:
- esfoliazione,
- fessurazioni,
- scagliatura.
Mentre l’azione chimica dell’acqua marina può causare pittig, alveolizzazione e degrado differenziale. A mio parere, le basi delle colonne di San Marco sarebbero perciò state comunque sostituite entro un certo tempo, ma l’acqua alta straordinaria ne ha abbreviato la vita utile residua.
È possibile comunque mitigare questi danni? La risposta è sì. Un’operazione molto utile è ad esempio l’estrazione dei sali solubili dalle murature mediante impacchi, che se compiuta tempestivamente può ridurre l’entità delle sub-efflorescenze.

Foto 7 – Tipico degrado degli edifici veneziani che si affacciano sui canali: la formazione di patine biologiche in corrispondenza del livello medio dell’acqua

Foto 8 – Degrado degli edifici veneziani che si affacciano sui canali: la caduta degli intonaci nelle zone basamentali

Foto 9 – Altro fenomeno riscontrabile sugli edifici veneziani che si affacciano sui canali. Si tratta della polverizzazione e disgregazione dei mattoni e dei giunti di malta della muratura dovute all’umidità di risalita capillare
Le patine biologiche
Altri danni riconducibili non tanto all’azione dell’acqua salata ma all’effetto bagnasciuga dell’alta marea sono invece:
- la formazione di patine biologiche superficiali di colore verde o nero (Foto 7),
- il distacco e caduta degli intonaci (Foto 8),
- la disgregazione e polverizzazione di mattoni e giunti di malta (Foto 9).
Anche in questo caso si tratta di danni assai comuni, da considerare endemici negli edifici di Venezia. Negli ultimi decenni l’esecuzione di ristilature dei giunti, intonaci e sarciture di lesioni con malta cementizia e l’uso di tinteggiature sintetiche non traspiranti hanno aggravato sensibilmente tali forme di degrado. Questa cattiva manutenzione ha incrementato la formazione di sub-efflorescenze e alzato il livello dell’umidità di risalita, che in alcuni casi ha raggiunto perfino il secondo piano.
Quale futuro per gli edifici di Venezia?
La situazione degli edifici storici di Venezia risulta dunque compromessa ma non irreparabile.
Quali strategie possiamo usare per assicurarne la conservazione? Il problema è complesso e riguarda vari livelli di azione e pianificazione.
A livello urbano e territoriale, oltre a grandi infrastrutture come il Mose si possono adottare alcuni provvedimenti a scala più ridotta, come l’interdizione della laguna alle grandi navi o la manutenzione regolare dei canali cittadini, che – se ben dragati e arginati – aiutano a contenere il livello dell’alta marea all’interno del loro alveo.
Ripopolare il centro storico
Si potrebbe inoltre incentivare il ripopolamento del centro storico di residenti, che a sua volta comporterebbe una maggiore attenzione alla qualità del costruito ed anche una manutenzione più accurata e meno invasiva.
Gli studiosi Angela Squassina, Francesco Doglioni, Francesco Trovò, Luca Scappin in uno studio sulle finiture dell’architettura veneziana (vedasi bibliografia) definiscono inoltre alcune linee guida per eseguire la manutenzione: con i materiali e le tecniche tradizionali dell’architettura veneziana, collaudate e migliorate da secoli di sperimentazioni. Sono invece sostanzialmente inutili, o in alcuni casi addirittura dannosi, alcuni tra i provvedimenti più comuni contro l’umidità di risalita capillare come la creazione di barriere chimiche.
L’alta specializzazione dei professionisti tecnici
Da questi assunti deriva anche l’importanza di recuperare e trasmettere i saperi tradizionali, formando maestranze specializzate che possano applicarli nei cantieri. Occorre inoltre formare i professionisti come architetti, ingegneri o restauratori. A loro è demandata la progettazione e la direzione tecnica degli interventi di manutenzione. Anche la sensibilizzazione dell’opinione pubblica è particolarmente utile, perché può indirizzare i proprietari delle abitazioni e gli amministratori di condominio verso la scelta di aziende, professionisti e soluzioni tecniche adeguate alle particolari condizioni di Venezia.
Dobbiamo infine considerare un ultimo dato di fatto. Il degrado degli edifici di Venezia è endemico, può essere mitigato e rallentato ma non eliminato. Inoltre, il degrado degli intonaci tradizionali è lento, avviene con naturalezza e non trasmette il senso di squallore tipico invece delle finiture industriali in disfacimento. Dobbiamo quindi accettarlo come una cosa naturale e una componente dell’architettura e del paesaggio urbano.
Avvertenza importante – Le informazioni contenute in questo articolo relative all’acqua alta straordinaria dello scorso 12 novembre e ai danni riscontrati si basano su quanto diffuso finora (29 novembre 2019) da quotidiani, emittenti televisive e agenzie di stampa.
Bibliografia
– John Ruskin, Le pietre di Venezia, 1851-1853.
– Angela Squassina, Francesco Doglioni, Francesco Trovò, Luca Scappin, Conoscenza e restauro degli intonaci e delle superfici murarie esterne di Venezia. Campionature, esemplificazioni, indirizzi di intervento, Padova, Il Prato, 2017.