Architettura

Un restauro-rifunzionalizzazione esemplare: il Castello di Rivoli

L’ex residenza sabauda a 10 km da Torino è un edificio dalla storia lunga e affascinante, diventato nel 1984 un Museo per l’Arte contemporanea grazie a un celebrato progetto di Andrea Bruno
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Un restauro-rifunzionalizzazione esemplare: il Castello di Rivoli
Il Castello di Rivoli è un museo per l’arte contemporanea in provincia di Torino. È uno dei più significativi progetti di recupero e rifunzionalizzazione a livello internazionale, intervenuto su una dimora sabauda dal passato travagliato. La sua lunga realizzazione ha anche accompagnato un importante cambio di passo, sancendo una nuova e diversa attenzione a un patrimonio storico poi riconosciuto anche dall’Unesco. Il progetto è stato sviluppato dall’architetto torinese Andrea Bruno tra la metà degli anni settanta e il 2000. Il suo approccio ha avuto immediata risonanza internazionale, aprendo la strada a molti interventi successivi.

Castello di Rivoli, una storia lunga e travagliata

La storia di questa ex residenza reale è lunga e affascinante. Il castello di Rivoli è un complesso che, incompiuto, cresce attraverso molti secoli, plasmato da mani illustri. È collocato sulla cima di una collina morenica. Questa si affaccia sulla piana che comprende la vicina Torino, delimitata da un’altra collina e attraversata dal fiume Po. Domina su un abitato di origine medievale, che si sviluppa sulle pendici e diventa parte integrante delle vicende della capitale. Il primo nucleo del castello viene eretto durante il Medioevo con funzioni difensive.

Amedeo e Carlo di Castellamonte

Il suo primo importante sviluppo prende forma nella prima metà del XVII secolo. Il duca Carlo Emanuele I di Savoia incarica i due architetti di trasformare il vecchio maniero in residenza per il loisir. Il progetto realizza così la Manica Lunga, edificio allungato a più piani che, destinato a ospitare la pinacoteca ducale, si collega al corpo centrale.

Filippo Juvarra

L’arrivo di Filippo Juvarra a Torino, nel 1715, consegue alla firma del Trattato di Urtecht e alla trasformazione della famiglia Savoia da ducale in reale. L’architetto messinese diventa architeto reale e si dedica alla costruzione della città barocca e di molte residenze che oggi fanno parte della Corona di Delizie. A Rivoli viene incaricato dal re Vittorio Amedeo II di trasformare il complesso in una grandiosa reggia. Il progetto prefigura la realizzazione di un palazzo simmetrico rivolto verso Torino e prevede la progressiva demolizione dell’esistente. Non vede tuttavia mai completamente la luce. Nel 1734 il cantiere viene definitivamente abbandonato con il progetto realizzato solo per metà, interrotto in corrispondenza della sua parte centrale. La Manica Lunga è ancora in piedi.

Fino alla seconda guerra mondiale

Nessun lavoro rilevante, ampliamento o modifica intervengono sul castello tra la metà del Settecento e l’Unità d’Italia. Il trasferimento da Torino della capitale e della famiglia reale porta nel 1883 all’acquisizione del complesso da parte della Città di Rivoli. Il Castello di Rivoli diventa così una caserma, funzione che manterrà fino alla seconda guerra mondiale e porterà consistenti modifiche per adattare gli interni alle diverse necessità. I bombardamenti del conflitto causano importanti danni, i più importanti dei quali vengono ripristinati dall’esercito con celerità ma con i materiali e le tecniche a disposizione. La guerra porta anche nuovi abitanti: il complesso accoglie infatti i rifugiati in fuga dagli attacchi.

L’intervento di trasformazione

Il progetto di Andrea Bruno, dalla lunga gestazione, si fonda sulla profonda conoscenza del complesso. È supportata dai rilievi eseguiti su un sito abbandonato grazie ai finanziamenti che, sebbene esigui, giungono dalle celebrazioni di Italia ‘61. La decisione di portare avanti la trasformazione del Castello in museo per l’arte contemporanea si concretizza a metà degli anni settanta, accompagnata dal passaggio del complesso alla Regione Piemonte. Prende forma concreta in due distinti momenti temporali. Il primo affronta la parte juvarriana, tra 1979 e 1984. Il secondo si dedica alla Manica Lunga, realizzando tra 1986 e 2000 la sua parte più scenografica e iconica. Entrambi sono guidati dai medesimi celebrati principi guida. Il modus operandi progettuale di Andrea Bruno ha ‘congelato’ gli edifici e le loro strutture, il non finito e anche i danni occorsi nel tempo. È riuscito a valorizzare tutte le stratificazioni rendendole parte integrante della rifunzionalizzazione. Ha aggiunto dove più opportunonuove parti e strutture, contemporanee, reversibili e completamente riconoscibili dall’esistente. Bruno ha integrato nel complesso la ricostruzione di due specifiche parti, portando avanti un restauro rispettoso dell’edificio dove richiesto. È riuscito a evitare falsificazioni e completamenti ‘in stile’.

L’ala juavarriana

L’ala juavarriana del Castello di Rivoli ospita oggi la collezione permanente del Museo. Attraverso le sue sale si snoda un percorso espositivo che si sviluppa su più piani, arrivando al sottotetto. Il progetto ha realizzato un attento restauro degli interni, degli stucchi, dei dipinti e delle cornici. Pavimentazioni attentamente ricostruite seguendo i disegni originali sono visibili in due sale. Un riuscito intervento contemporaneo accoglie al suo ingresso, si cui si apre su blocco scala-ascensore metallico sospeso, sostenuto dalle strutture esistenti riforzate. La riparazione di parte dei danni di guerra nel sottotetto, dove le capriate lignee erano state sostituite dall’esercito con travi in cemento armato, diventa parte del percorso evidenziando con il colore rosso la stratificazione. Qui una nuova passerella attraversa l’estradosso del solaio dell’ultimo piano per portare agli spazi espositivi dell’ultimo livello. Un nuovo sporto panoramico vetrato si apre verso la collina e la Manica Lunga.

La Manica Lunga

Gli stessi criteri hanno portato a diversi risultati sulla Manica Lunga. I suoi livelli interni accolgono la biglietteria con il bookshop e l’ingresso principale, la caffetteria, alcuni spazi didattici e, all’ultimo piano, la grande sala delle mostre temporanee. Il progetto mantiene l’involucro originario, rivestito di mattoni a vista, ma rivede completamente l’interno. Tutti i sistemi di collegamento verticali sono collocati all’esterno, inseriti in nuovi volumi ampiamente vetrati staccati dall’edificio storico. Una nuova parete in cemento armato a vista e vetro chiude il lato corto che si rivolge verso l’ala juavarriana. La sala al terzo piano accoglie i visitatori con i suoi 147 metri di lunghezza completamente aperti, le opere d’arte di volta in volta esposte e la contemporaneità della sua architettura, aperta sulla collina e su un’importante vista panoramica. La copertura originaria, troppo ammalorata e danneggiata per essere conservata e riparata, viene completamente sostituita da una nuova. Questa, metallica, è sostenuta da una serie di centine metalliche appoggiate sulla muratura esistente.

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