Il senso dell’architettura per David Lynch
È scomparso il 14 gennaio 2025, a 79 anni, il regista e sceneggiatore, ma anche artista e pittore statunitense, David Lynch. Nato nel 1946 a Missoula (Montana), nella sua carriera cinematografica è stato il direttore di film come Eraserhead, Blue Velvet, Mulholland Drive e della serie, divenuta cult, Twin Peaks. Nella costruzione della loro estetica spesso disturbante, l’architettura e il design, i colori e la gestione della luce giocano un ruolo fondamentale. Diventano strumenti che rendono lo spazio un mezzo narrativo per esprimere la complessità del subconscio e aiutano a creare i suoi mondi surreali, inquietanti, enigmatici e misteriosi.
The Architecture of David Lynch
Lo stretto rapporto tra l’universo cinematografico di Lynch e l’architettura nel 2014 è stato indagato da Richard Martin. Scrittore e ricercatore, è autore di “The Architecture of David Lynch”, unico scritto ad approfondire questo speciale legame analizzando una vasta gamma di scelte di ambientazioni. Le sue pagine ne esplorano il pensiero attraverso la rappresentazione delle città, delle abitazioni, delle strade, ma anche degli spazi performativi e delle stanze. E diventano una preziosa guida dentro il suo inquietante e affascinante mondo.
Città, abitazioni, strade, spazi performativi e stanze
David Lynch è infatti sempre profondamente consapevole del ruolo dell’architettura, influenzato da figure come Ludwig Mies van der Rohe e Frank Lloyd Wright. Utilizza lo spazio per indagare le forze del cambiamento urbano, ma anche le relazioni sociali che l’architettura genera e il peso del passato nei luoghi del presente.
La critica del modello urbano americano è il filo rosso che lega le tetre città dello sperimentale Eraserhead (1977) e di The Elephant Man (1980) e la provincia di Blue Velvet (1986) e Twin Peaks (1990), dove serene facciate nascondono invece oscuri segreti. In Mulholland Drive (2001), Los Angeles è invece un labirinto di strade tortuose, ville e palazzi in cui il sogno americano si mescola a un incubo persistente.
Mentre gli interni delle case e gli spazi domestici richiamano la dicotomia tra sorveglianza e intrusione, gli spazi aperti di strade e autostrade, insieme ai deserti e alle aperte pianure rappresentano spesso la libertà e il pericolo.
Centrali nella filmografia di David Lynch sono, sempre secondo Martin, gli spazi performativi. Luoghi come la Stanza Rossa di Twin Peaks, lo Slow Club di Blue Velvet e i decadenti teatri di Mulholland Drive e Inland Empire (2006) mettono in discussione i confini tra realtà e illusione. E proprio il film del 2006, con i suoi spazi inspiegabili che negano certezze geografiche, è considerato da Martin il lavoro più radicale di Lynch, con la sua visione architettonica definitiva e comprensiva dei suoi lavori precedenti.
Due luoghi simbolo
Sono due esempi emblematici di come David Lynch utilizzi lo spazio per creare esperienze sensoriali e metafisiche. La Stanza Rossa, che rappresenta un limbo onirico, e il Club Silencio, che sfida le nozioni di realtà attraverso l’illusione performativa.
Tra i luoghi più riconoscibili, anche per il successo planetario della serie, è la Stanza Rossa di Twin Peaks, con le sue tende ondulate, i pavimenti a zig-zag bianchi e neri e la sua atmosfera di sospensione temporale. La sua architettura sfida la logica, con proporzioni mutevoli e personaggi che, in un’estetica surreale, comunicano in modi criptici. Il Club Silencio è un decadente teatro in cui si intrecciano realtà e illusione, con le sue tende, i colori saturi e le luci che lo rendono portale simbolico tra i diversi livelli di realtà del film.
In Italia, “Interiors by David Lynch. A Thinking Room” per il Salone del Mobile 2024
Una delle ultime opere che hanno coinvolto David Lynch è legata all’Italia. Nel 2024 ha collaborato con il Salone del Mobile nella realizzazione del progetto “Interiors by David Lynch. A Thinking Room”. Curato da Antonio Monda e realizzato da Lombardini22 con la collaborazione del Piccolo Teatro di Milano, ha realizzato un’installazione immersiva in due stanze racchiuse da un sipario rosso ondulato. Fuori, la folla e il brusio, dentro, l’opposto sotto forma di uno spazio vuoto che libera, allestito con immagini scelte dal regista e pochi arredi.
