Attenti al marchio C E sulle luci natalizie
La Cass. pen., Sez. III, 7 novembre 2024, n. 40853 ci insegna che la marcatura CE apposta sui prodotti ne attesta la conformità agli standard europei e ne garantisce qualità e sicurezza. Ci avverte, altresì, che il marchio CE, acronimo di China Export, differisce dal marchio CE (Comunità Europea) per la sola impercettibile diversa distanza tra le due lettere.
Massima
Commette il reato di cui agli artt. 56 e 515 c.p. l’operatore commerciale che pone in vendita all’ingrosso luci natalizie recanti marcatura CE contraffatta.
Fatto
In seguito al controllo della GdF presso un negozio nel quale sono esposti per la vendita beni recanti il marchio CE e la certificazione RHOS, si verifica che il procuratore generale di un’impresa individuale esercente il negozio e il relativo magazzino pone in vendita all’ingrosso 111.064 prodotti industriali: sia luci natalizie, sia altri prodotti per uso domestico, che presentavano la marcatura CE contraffatta, in violazione della Direttiva Europea 2011/65/UE, tale da indurre in errore i terzi circa il significato della predetta marcatura o il suo simbolo grafico. In primo grado, condanna per il delitto di detenzione per la vendita di prodotti industriali con marchi o altri segni distintivi contraffatti o alterati di cui all’ art. 517 c.p. e in appello per il reato di frode in commercio previsto dall’ art. 515 c.p., riqualificato poi dalla Cassazione come tentativo di reato ai sensi degli artt. 56 e 515 c.p.
Ricorso
A sua discolpa, l’imputato deduce che l’elemento soggettivo del reato è stato desunto dalla mera, di per sé insignificante, presenza nel negozio e dal rinvenimento nel magazzino di cartoni recanti la dicitura “Made in China”, in assenza di prova del fatto che egli fosse mai stato in tale magazzino situato dall’altra parte della strada e che avesse ordinato la merce o si fosse mai ingerito nella sua movimentazione, tanto che egli non sapeva che le luci natalizie fossero nel magazzino. Inoltre, lamenta comunque la mancata rubricazione del fatto come tentativo di reato.
Sentenza e motivazioni
Anzitutto, la Sez. III pone in risalto che:
– l’imputato era stato nominato procuratore generale dell’impresa già da circa due anni;
– i beni esposti per la vendita recavano i segni della contraffazione;
– le luci erano state effettivamente poste in vendita nel negozio ove l’imputato era presente al momento dell’accesso della GdF, il che presuppone il trasferimento di parte di esse dal magazzino al negozio e comunque il suo dominio dell’azione (la vendita) che rientrava a pieno titolo nelle sue attribuzioni di procuratore generale.
Ciò premesso, la Sez. III considera singolare che il procuratore generale dell’impresa, delegato anche alle operazioni di acquisto e vendita, consenta la vendita di merce priva di qualsiasi documentazione doganale e di quella relativa al rilascio del marchio CE, o che comunque non verifichi tali adempimenti prima di esporre in libera vendita tali beni. Precisa che la mancata consegna da parte di colui che pone in vendita prodotti recanti il marchio CE, nel corso di un controllo, della documentazione attestante la regolarità dell’apposizione di tale marchio, integrando l’omissione di una condotta richiesta agli operatori economici, costituisce un comportamento significativo, in assenza di elementi contrari, della irregolarità dell’apposizione. Segnala che la disciplina del marchio CE – attestante che il prodotto rispetta i requisiti previsti dall’UE in materia di sicurezza, salute e tutela dell’ambiente – è prevista dal Regolamento n. 765 del Parlamento europeo e del Consiglio del 9 luglio 2008 e dalla decisione n. 768 del Parlamento europeo e del Consiglio del 9 luglio 2008 da cui emerge, tra l’altro, che i distributori devono poter dimostrare che hanno agito con la dovuta diligenza, verificando la regolarità del suddetto marchio, e devono essere in grado di assistere le autorità nazionali nel reperire la necessaria documentazione dimostrativa. Inoltre, ritiene irrilevante la circostanza se l’imputato si fosse ingerito, o meno, nell’acquisto dei beni in questione, poiché ai fini del reato di cui all’ art. 515 c.p. è sufficiente la consapevolezza attuale della diversità del bene rispetto alle caratteristiche dichiarate o pattuite, essendo irrilevanti i fatti che hanno preceduto la condotta e a chi siano imputabili.
Ulteriore, significativa notazione. La vendita di prodotti con dicitura “CE” contraffatta integra il delitto di frode nell’esercizio del commercio, e non il delitto ritenuto dal Tribunale di detenzione per la vendita di prodotti industriali con marchi o altri segni distintivi contraffatti o alterati, atteso che siffatta dicitura non identifica un marchio propriamente detto, inteso come elemento, o segno, o logo, idoneo a distinguere un manufatto da un altro, ma assolve alla diversa funzione di garantire al consumatore la conformità del prodotto su cui è apposta ai livelli di qualità e di sicurezza previsti dalla normativa dell’Unione europea. Mette in luce, altresì, che l’esposizione per la vendita al pubblico con un marchio CE, acronimo di China Export, differente da quello CE (Comunità Europea) per la sola impercettibile diversa distanza tra le due lettere, integra il tentativo del reato di frode nell’esercizio del commercio di cui all’ art. 515 c. p., in quanto la marcatura europea non solo consente la libera circolazione del prodotto nel mercato comunitario, ma, attestando la conformità del bene agli standard europei, costituisce anche una garanzia della qualità e della sicurezza di ciò che si acquista.
In questo quadro, ben s’intende che la Sez. III condivide comunque un’argomentazione addotta dall’imputato. Infatti, afferma che “egli non è stato colto nell’atto del vendere/consegnare i beni, e che il fatto si ferma alla constatazione della detenzione (certamente per la vendita), nulla di più”. Pertanto, qualificato il fatto come tentativo ai sensi degli artt. 56 e 515 c.p., annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte di appello per la sola rideterminazione della pena, ma dichiara inammissibile il ricorso nel resto, con conseguente irrevocabilità dell’accertamento della responsabilità penale dell’imputato.
Precedenti giurisprudenziali
Circa il reato di cui all’ art. 515 c.p. in caso di marcatura CE contraffatta cfr. Cass. pen., Sez. III, 6 novembre 2014, n. 45916, in Guariniello, Codice della Sicurezza degli Alimenti commentato con la giurisprudenza, seconda edizione, 2016, Wolters Kluwer, 94. Per la ravvisabilità del reato di cui all’ art. 517 c.p. v. Cass. pen., Sez. III, 6 luglio 2016, n. 27782, ibid., 186, nonché, successivamente, Cass. pen., Sez. III, 29 luglio 2024, n. 30961;Cass. pen., Sez. VII, 19 febbraio 2024, n. 7273; Cass. pen., Sez. II, 21 dicembre 2021, n. 46736.
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