
Ammessa al condono la costruzione non completata a rustico e mancante dei muri perimetrali, se è possibile comunque identificare nei tratti essenziali l’opera da sanare e completare. Lo ha stabilito il Consiglio di Stato con la sentenza 3806/2022 nel caso di una costruzione completata al piano seminterrato ma costituita al piano rialzato solo da venti pilastri oltre alla copertura.
Il caso: il condono di un rustico
Il Comune aveva rigettato l’istanza condono di un illecito edilizio relativo alla costruzione di due villette unifamiliari destinate a civile abitazione, a piano terra e al piano seminterrato. Si trattava in particolare del terzo condono edilizio (L. 326/2003) ed il provvedimento di diniego del Comune era fondato sul fatto che le opere edilizie non sarebbero state ultimate al rustico alla data del 31.03.2003. Infatti il piano terra si presentava privo di tompagnatura esterna, a differenza del piano seminterrato, già tompagnato.
Le ragioni del ricorso
I proprietari avevano impugnato davanti al TAR il rigetto del condono, sostenendo che il completamento dell’opera non era potuto avvenire a causa di un provvedimento di sequestro penale, relativo ad un procedimento poi archiviato. A propria difesa i ricorrenti sostenevano che:
- l’art. 43 comma 5 L. 47/1985 consente la sanatoria delle opere non completate a causa di provvedimenti amministrativi o giuridizionali;
- ai fini del condono sarebbe sufficiente dimostrare il completamento delle opere nei limiti strettamente necessari a dare identità edilizia alle strutture e funzionalità;
- la fisionomia del fabbricato sarebbe stata già ben definita al momento dell’avvenuto sequestro, perchè poteva chiaramente desumersi l’intento di realizzare il piano rialzato con le stesse caratteristiche di quello seminterrato; che era già ultimato
- è ammissibile la sanatoria di opere abusive realizzate anche se in parte “non ultimate” e non completate “al rustico”, quando presentano i requisiti minimi indispensabili per farne ritenere acquisita ad ogni effetto una specifica individualità;
- in ogni caso dovevano essere considerate sanabili quantomeno le opere al piano terra.
Il Tar aveva rigettato il ricorso interpretando l’art. 43 comma 5 L. 47/1985 in senso restrittivo, ritenendo la norma applicabile ai soli lavori necessari ad assicurare al funzionalità di quanto già costruito, escludendo la possibilità di integrare le opere con interventi edilizi che danno luogo a nuove strutture. Contro la sentenza del Tribunale amministrativo i proprietari si erano rivolti al Consiglio di Stato, che ribaltava la decisione di primo grado, sulla base di una diversa interpretazione dell’art. 43 L. 47/1985.
Opere interrotte per intervento di provvedimenti giudiziari o amministrativi. Ipotesi di condono
Recita l’art. 43 comma 5 della L. 47/1985: “possono ottenere la sanatoria le opere non ultimate per effetto di provvedimenti amministrativi o giurisdizionali limitatamente alle strutture realizzate e ai lavori che siano strettamente necessari alla loro funzionalità. Il tempo di commissione dell’abuso e di riferimento per la determinazione dell’oblazione sarà individuato nella data del primo provvedimento amministrativo o giurisdizionale. La medesima disposizione per determinare l’oblazione è applicabile in ogni altro caso in cui i suddetti provvedimenti abbiano interrotto le attività edificatorie”.
Secondo il consolidato orientamento del Supremo Collegio, la norma “non impiega la dizione costruzioni o opere ultimate, vale a dire un manufatto completo almeno al rustico, privo solo delle finiture, ma la diversa nozione di strutture realizzate, che può dirsi verificata anche se difettano le tamponature esterne, nei termini in cui questo risultato consenta comunque di percepire la concreta fisionomia del manufatto e la sua destinazione, cioè di identificare nei tratti essenziali l’opera da sanare e completare”. Dunque per il Consiglio di Stato, l’ambito di operatività della norma citata si estende alle strutture anche non completate a rustico, purché la costruzione realizzata sia idonea alle funzioni cui l’opera è destinata.
Nel caso in questione:
- l’attività edilizia era stata interrotta a causa del sequestro del cantiere, e che dunque non era stato possibile completare la costruzione entro il 31 marzo 2003
- la costruzione presentava al piano seminterrato, oltre alla struttura in cemento armato, anche muri perimetrali di tompagnatura esterna, tramezzi divisori interni e pavimentazione con getti di calcestruzzo. Al piano rialzato, la struttura era formata da 20 pilastri in cemento armato e solaio di copertura.
Il fabbricato era dunque “ben individuabile nella sua concreta fisionomia e nella sua effettiva destinazione d’uso di edificio residenziale.”
In presenza di tutti i presupposti per l’operatività dell’art. 43 comma 5 L. 47/1985, il Consiglio di Stato riteneva fondato l’appello, annullando la sentenza di primo grado.
La sentenza 3806/2022 del Consiglio di Stato è disponibile qui di seguito in free download.