Edilizia

Il regime sanzionatorio sugli immobili dopo il Salva Casa è triplicato

Per la fiscalizzazione dell’abuso, l’importo va calcolato sul valore dell’immobile al momento della sanzione
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Il regime sanzionatorio sugli immobili dopo il Salva Casa è triplicato

La disciplina della cd. “fiscalizzazione” dell’abuso, cioè l’applicazione delle sanzioni pecuniarie alternative alla demolizione, è stata modificata dal “Salva Casa”, che ha incrementato gli importi previsti per la sanzione pecuniaria. Occorre ricordare che tali importi vanno determinati in riferimento al valore dell’immobile al momento del provvedimento sanzionatorio, non a quello dell’abuso.

Il caso

Lo chiarisce il Tar Veneto nella sentenza n. 763 del 20 maggio 2025 (il primo pronunciamento dopo l’entrata in vigore del decreto-legge 69/2024), precisando che “La richiesta economica non ha natura sanzionatoria verso l’autore dell’abuso ma natura ripristinatoria – in via sostitutiva della demolizione – del danno prodotto al territorio quindi non soggetta al principio di matrice penalistica del favor rei, poiché il legame temporale si intreccia con l’impossibilità della demolizione e non con la realizzazione dell’abuso ovvero con la rivelazione dello stesso”.

Il ricorso riguardava l’annullamento dell’ordinanza emessa da un Comune per interventi eseguiti in totale difformità ed in parziale difformità dal permesso di costruire nonché per interventi di ristrutturazione eseguiti in assenza di permesso di costruire, in un complesso immobiliare a destinazione artigianale. Il Comune aveva rigettato l’istanza di permesso di costruire in sanatoria per difetto della doppia conformità prescritta dall’art. 36 del dpr 380/2001 (Testo unico dell’edilizia, Tue), perché le “opere abusive al fabbricato produttivo risultano in contrasto con la normativa vigente al momento della loro realizzazione e alla normativa attualmente vigente (momento della richiesta di sanatoria)”.

La fiscalizzazione dell’abuso dopo il Salva Casa

Il Comune aveva quindi avviato il procedimento di irrogazione delle sanzioni per le violazioni urbanistiche contestate. La proprietaria dell’immobile aveva chiesto la “fiscalizzazione” degli abusi, perché la rimessione in pristino dello stato preesistente avrebbe comportato la compromissione delle parti eseguite in conformità. Ha chiesto inoltre l’applicazione della sanzione pari al doppio del valore venale dell’abuso in applicazione della normativa antecedente la riforma introdotta dal decreto-legge 69/2004 (che ha aumentato la sanzione al triplo del valore venale), che nel frattempo era entrato in vigore.

Il Comune, preso atto dell’impossibilità di ripristino dello stato dei luoghi, aveva invece disposto come sanzione pecuniaria il triplo dell’aumento del valore venale, previsto per gli immobili diversi da quello abitativo dall’articolo 34 comma 2 del dpr 380/2001 (Tue), nel testo vigente dopo il “Salva Casa”. Contro tale decisione, ritenuta illegittima, la proprietaria proponeva ricorso al Tar, sostenendo che l’amministrazione comunale avrebbe dovuto applicare la normativa in vigore all’epoca di commissione dell’abuso o, al più, quella in vigore al momento del suo accertamento.

Il Tar Veneto ha ritenuto infondato e respinto il ricorso, precisando che il regime sanzionatorio degli abusi edilizi, che hanno natura di illeciti permanenti, è quello vigente al momento dell’applicazione della sanzione e non quello in vigore al momento della consumazione dell’abuso. Pertanto, nel caso specifico, il Comune non aveva applicato “retroattivamente” l’articolo 34, comma 2 del dpr 380/2001 nella nuova formulazione, come sostenuto dalla ricorrente, ma correttamente aveva applicato la disciplina in vigore al momento della determinazione sanzionatoria assunta, in virtù del principio “tempus regit actum”.

In che cosa consiste la fiscalizzazione dell’abuso

Sull’istituto della fiscalizzazione, la giurisprudenza ha ripetutamente precisato che attraverso tale istituto “il legislatore ha inteso salvaguardare lo status esistente al momento dell’esecuzione della rimozione o della demolizione quando il ripristino dello stato dei luoghi non sia possibile (per il pregiudizio che detto ripristino potrebbe comportare a quanto legittimamente edificato), senza che ciò costituisca un’abdicazione del potere sanzionatorio, trasformando piuttosto la misura reale in misura pecuniaria ed assegnando a quest’ultima la stessa identica sanzione risarcitoria della collettività, offesa dall’abuso edilizio. Quindi la sanzione pecuniaria non ha natura afflittivo-punitiva e perciò ad essa non si applica il principio del favor rei, che privilegia la soluzione più favorevole al colpevole.

La sanzione pecuniaria in concreto erogata deve tener conto dell’effettivo valore delle opere abusive, l’unico significativo per la definizione del caso concreto, e non di quello inferiore e risalente al passato, non più ancorato all’effettivo valore del bene. La sanzione pecuniaria deve costituire una ‘risposta sanzionatoria’ omogenea ed effettiva, ciò che non vi sarebbe se si dovesse tenere conto del suo valore inferiore, commisurato al tempo della realizzazione dell’abuso. I presupposti e la natura della sanzione pecuniaria disciplinata dall’art. 34, comma 2 del dpr 380/2001 rendono necessario prendere a riferimento, nel determinare l’entità della sanzione, l’epoca della sua determinazione e non quella di commissione dell’abuso.

La sanzione alternativa alla demolizione non costituisce l’esito ordinario né automatico del procedimento sanzionatorio e può essere valutata dall’amministrazione solo nella fase esecutiva, in quanto si applica, su richiesta dell’interessato, in via eccezionale e derogatoria, qualora risulti l’oggettiva impossibilità di procedere alla riduzione in pristino delle parti difformi senza incidere sulla stabilità dell’intero edificio.

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